A partire da quest’anno il governo ellenico ha bloccato nei quartieri centrali della capitale il rilascio di nuove licenze a chi vuole mettere in affitto a breve termine la propria casa su piattaforme come Airbnb. Dal quartiere chic di Kolonaki, a quello universitario di Exarchia, passando per Thisio, invaso dalle promesse di «Greek experience» a consumo dei turisti sulle insegne dei negozi, per molti residenti è una buona notizia.
La mappa di Inside Airbnb, sito che monitora l’attività in tutto il mondo, mostra il brulicare di case nei quartieri centrali, che aumenta attorno alla rocca dell’Acropoli, dove secondo il governo greco gli immobili in affitto mordi e fuggi sono più del 5% del totale. «Abbiamo riconosciuto il rischio che il tessuto sociale venisse alterato», ha spiegato Alexis Patelis, a capo dell’ufficio economico del premier Mitsotakis quando, lo scorso autunno, è stata annunciata la misura che avrà durata di un anno, e punisce con una multa di 20mila euro chi infrange il divieto.
Il moltiplicarsi dei lucchetti con le chiavi per i turisti, fuori dai condomini, ha aggravato la crisi abitativa (poche case, e prezzi sempre più alti) che affligge il Paese: secondo Eurostat, la maggior parte dei greci è costretta a spendere più del 40% del proprio reddito per l’affitto. Ad Atene negli ultimi cinque anni i prezzi sono aumentato del 35%, e le scritte «Tourists go home» non si leggono più solo sui muri del quartiere anarchico di Exarchia, ma anche in zone «trendy» come quella di Koukaki. Per questo il governo di destra di Nea Dimokratia ha offerto sgravi fiscali di tre anni ai proprietari disposti a convertire l’affitto breve in uno a lungo termine, e ha lanciato un programma di assistenza per comprare la prima casa con mutui a tassi agevolati.
Il premier Mitsotakis ha puntato molto sulla macchina del turismo per rimpinguare le casse dello Stato e l’appetito per gli alloggi stile Airbnb sembra insaziabile: lo scorso agosto, per la prima volta, in Grecia il numero di posti letto nelle unità in affitto breve ha superato quelli negli alberghi, toccando il milione. «Per questo lo stop nella città di Atene è troppo poco, e troppo tardi», ritiene Nikos Kourachanis, professore associato di Politiche abitative presso l’Università Panteion di Atene. «È il riconoscimento, tardivo, di un problema più che un intervento efficace. Occorre limitare il numero di appartamenti su Airbnb andando a diminuire quelli già presenti, in proporzione alla capacità di ciascun quartiere, e stabilire un tetto ai prezzi degli affitti per i residenti».
Anche il sindaco di Atene Haris Doukas, eletto con i socialisti del Pasok, si è detto favorevole a mettere un argine, e ha chiesto al governo maggiore potere, lamentando l’impossibilità per il comune di legiferare sul tema.
Basta una passeggiata nel centro di Atene per notare la schiera di edifici in rovina che fanno capolino tra uffici e «luxury boutique apartments»: molti palazzi abbandonati durante la crisi del debito non sono stati restaurati (ad Atene si stima che siano 100mila) e i cantieri edilizi sono rimasti fermi, contribuendo a far lievitare i prezzi delle case in buono stato.
Per fronteggiare la crisi, il governo ha modificato anche uno dei suoi programmi più pubblicizzati, quello dei «Golden visa», elogiato per avere fatto confluire nel Paese oltre due miliardi di euro di investimenti, ma colpevole di avere gonfiato i prezzi di molti appartamenti. Fino allo scorso agosto, bastava sborsare 250mila euro per un immobile e ottenere un permesso di soggiorno di cinque anni nel Paese. I più numerosi a rispondere all’offerta sono stati i cittadini cinesi, i turchi e gli israeliani, interessati a ottenere una base in Europa più che ai metri quadrati dell’immobile. Così da settembre l’asticella dell’investimento nelle grandi città è stata alzata a 800mila euro.
Secondo Kourachanis la crisi abitativa «è il frutto di scelte politiche che si sono consolidate con la crisi del debito: il patrimonio immobiliare è visto solo come un motore di investimenti stranieri, a discapito della comunità cittadina che non ne beneficia quasi mai. Non a caso la Grecia è uno dei pochi paesi europei a non avere un ente che realizzi programmi di edilizia sociale. Se non si cambia questa mentalità, i centri delle città sono destinati a svuotarsi».
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