«A Complete Unknown», il giovane Dylan interpretato da uno Chalamet che rasenta la perfezione (voto 7 e 1/2)

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di
Paolo Mereghetti

Il film di James Mangold non promette rivelazioni o colpi di scena e alla fine questa scelta si rivela una qualità

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Un film biografico, anche se limitato a cinque anni della sua vita? Teoricamente sì, ma in realtà nì, perché se il film di James Mangold ripercorre gli inizi della carriera di Dylan, dalla visita in ospedale nel 1961 a Woody Guthrie, dove conosce Pete Seeger, fino al festival di Newport del 1965, dove stupì tutti suonando tre brani con una chitarra elettrica decisamente rock e non con quella acustica (innescando un’esplosione di accuse da parte del pubblico che in realtà avvenne un anno dopo), è anche vero che chi non conosce a menadito la carriera del menestrello di Duluth resterà ancora con molte curiosità e con tante domande senza risposta. Ma in fondo, già dal titolo, «A Complete Unknown», Un perfetto sconosciuto, il film non promette rivelazioni o colpi di scena su un personaggio famoso anche per la sua scorbutica riservatezza. E questa scelta, alla fine, si rivela una qualità.

Nella prime scene lo vediamo già con la chitarra. Il film non ci dice niente della sua famiglia, di come la musica è entrata nella sua vita: Dylan (Timothée Chalamet) è arrivato a New York per conoscere Guthrie (Scoot McNairy) e quando finalmente lo trova in un ospedale del New Jersey, colpito da un morbo neurodegenerativo che gli blocca i movimenti e la parola, il giovane ventenne gli fa comunque sentire una sua composizione, che il malandato folk-singer apprezza come può, ma che soprattutto accende la curiosità di Seeger (Edward Norton). 




















































Sarà grazie a lui che Dylan, all’inizio Bobby per gli amici, potrà esibirsi le prime volte nei locali folk e poi sbarcare al festival di Newport. Intanto ha conosciuto Sylvie (Elle Fanning), che nella sceneggiatura del regista e di Jay Coks (dal libro di Elijan Wald «Il giorno che Bob Dylan prese la chitarra elettrica», in Italia pubblicato da Vallardi) non ha il nome della sua prima fidanzata Suze Rotolo – pare per ragioni di privacy – ma che di fatto è lei. Anche qui, comunque, il film evita qualsiasi scivolata voyeuristica: non si vede nemmeno un bacio. E non si vedrà neppure quando, qualche tempo dopo, sarà Joan Baez (Monica Barbaro) a far breccia nel suo cuore.

Evidente allora la chiave del film: piuttosto che cercare di ipotizzare quello che Dylan non ha mai voluto raccontare o spiegare, tanto vale ignorarlo. I «buchi neri» del film sono molti, o meglio: sono molti i salti di una narrazione che non cerca di spiegare ma piuttosto di ricordare alcuni momenti importanti. A cominciare dalle canzoni, che iniziano con «Song to Woody» per continuare poi, tra le altre, con «Blowin’ in the Wind», «Masters of War», «The Times They Are a-Changin’ » e la celeberrima «Like a Rolling Stone». Cantate da Dylan in playback? No, tutte eseguite da uno straordinario Chalamet, capace di farci dimenticare che è una star di Hollywood che sta cantando, tanto le sue esecuzioni sono perfette per intonazione, timbro e mimica.

È la più notevole tra le qualità del film, che dovrebbe far guadagnare all’attore almeno una nomination all’Oscar: questo Chalamet nei panni di Dylan rasenta la perfezione, fisicamente (che non era molto difficile) e musicalmente. Anzi, il fatto che altri snodi della sua vita siano stati lasciati senza spiegazione, finisce per aumentare ancora di più la forza dell’interpretazione vocale, quasi che l’indeterminazione cronologica, con i suoi salti tra il 1961 e il ’65, non facesse che moltiplicare il fascino di quella voce perfetta.

Certo, i puristi delle cronologie ricorderanno che la famosa accusa di essere un «giuda» che stava tradendo il folk per il rock , gli fu rivolta a Manchester, durante il tour europeo del 1966, ma l’idea di anticipare tutto alla sua ultima esibizione a Newport, «costringendolo» in qualche modo a misurare la sua evoluzione musicale con chi sembra non volersi allontanare dal passato, come Seeger e Joan Baez , o chi invece lo incita a cambiare, come Johnny Cash (Boyd Holbrook) finisce per dare a quella svolta elettrica il senso di una vera rivoluzione. Che l’ultima scena, con Dylan che in motocicletta esce dal campo visivo, apre a un futuro che lo porterà fino al premio Nobel.

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17 gennaio 2025 ( modifica il 17 gennaio 2025 | 19:46)

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