Il tribunale di Roma butta giù i No Ponte

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Trecentoquaranta mila euro per compensi professionali e oneri di legge: è questa la cifra record che la Sezione specializzata in materia delle Imprese del Tribunale di Roma ha imposto di pagare a 104 cittadini, solo per aver tentato di contrastare nelle aule giudiziarie la realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina attraverso un’azione inibitoria collettiva.

IL TRIBUNALE HA GIUDICATO IL RICORSO inammissibile in quanto prematuro perché, non essendo ancora concluso il procedimento autorizzativo, non vi sarebbe alcun danno ambientale effettivo. Mancherebbe, cioè, un interesse concreto e attuale dei ricorrenti ad ottenere la speciale tutela inibitoria, nonostante il Parlamento si sia impegnato a trovare 13,5 miliardi di euro per costruire il Ponte, la procedura per gli espropri su 14 comuni stia andando avanti e l’avvio dei lavori sia dato per imminente da qualche ministro, un giorno sì e l’altro pure.
“Il Tribunale”, sottolinea l’avvocato Aurora Notarianni, tra i legali che hanno assistito i cittadini, “non ha valutato i principi di prevenzione e precauzione nel caso di realizzazione di opere pubbliche in aree protette e si è sottratto alla domanda di disapplicare le norme del Decreto-legge che, in violazione della normativa europea, ha resuscitato progetto e contraente generale”.

I RICORRENTI HANNO GIÀ ANNUNCIATO la volontà di ricorrere contro questa decisione, in particolare sulle spese, pur sottolineando come l’azione inibitoria abbia avuto il pregio di ottenere dal Tribunale il riconoscimento del diritto all’ambiente, non solo come bene pubblico e di rilievo costituzionale, ma come diritto del singolo al corretto e armonioso sviluppo della sua personalità in un ambiente salubre, che può essere tutelato in tutti i casi in cui sussiste un fatto illecito, doloso o colposo, idoneo a determinare un danno: un riconoscimento di fondamentale importanza per la proposizione di future azioni a tutela dell’ambiente. Inaccettabile, però, risulta la condanna alle spese che, come scrive il Comitato No Ponte della sponda calabrese, appare “enorme e priva di trasparenza sui criteri di calcolo, sui parametri adottati o sulle attività legali rimborsabili”.

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IL PARADOSSO È CHE LA SOMMA STABILITA dal Tribunale dovrà essere versata da semplici cittadini ad una società, la Stretto di Messina SpA, che oggi ha come azionisti Ministero dell’Economia e delle Finanze, Anas SpA, Rete Ferroviaria Italiana SpA, Regione Calabria e Regione Siciliana. La società, costituita nel 1981, è la concessionaria per la progettazione, la realizzazione e la gestione del collegamento stabile viario e ferroviario fra la Sicilia e la Calabria, nome tecnico per indicare il fantomatico Ponte che, in oltre quattro decenni, sarebbe già costato allo Stato, secondo la ricostruzione condotta da Milena Gabanelli e Massimo Sideri sul Corriere della Sera nel dicembre del 2022, 1,2 miliardi di euro senza che ne sia stato realizzato un solo metro. In pratica, 104 cittadini italiani, che con le loro tasse hanno già sovvenzionato la Stretto di Messina SpA, dovranno pagare a questa società anche i considerevoli compensi professionali dei suoi legali.

LE SENTENZE VANNO RISPETTATE, MA non si può negare che, come aggiunge il Comitato No Ponte, questa condanna sembra avere come effetto “intimidire, non solo chi ha intrapreso questa battaglia legale, ma tutte e tutti coloro che si oppongono a un’opera inutile, dannosa e priva di un progetto esecutivo credibile”.

SIAMO DI FRONTE AD UNA PAGINA NERA per il diritto italiano perché sono stati duramente colpiti semplici cittadini che hanno voluto esercitare il proprio diritto di accesso alla giustizia.

Mentre nel resto del mondo si incoraggia l’attivazione giudiziaria di singoli e associazioni in difesa dell’ambiente sulla base di convenzioni internazionali – a cui anche il nostro Paese aderisce – e davanti a corti anche internazionali, l’Italia sembra andare in direzione contraria.

SOLO UN ANNO FA, IL COMUNE DI PIOMBINO è stato condannato a pagare 90.000 euro di spese processuali dal Tar Lazio che aveva respinto il suo ricorso contro l’installazione di un rigassificatore nel porto cittadino. Una condanna pesantissima, poi superata grazie ad un accordo tra le parti, accompagnata da un’ulteriore condanna a 15.000 euro di spese per Greenpeace, Usb e Wwf, “colpevoli” di aver sostenuto il ricorso del Comune con un intervento ad adiuvandum.

LA QUESTIONE NON È di poco conto. Condanne così alte costituiscono una barriera all’esercizio della difesa di interessi generali o beni comuni da parte di associazioni nazionali riconosciute, comitati locali, enti pubblici o privati cittadini. Non a caso, il tema dei costi proibitivi per l’accesso alla giustizia ambientale in Italia, in particolare in caso di condanna dei ricorrenti a seguito di soccombenza nel giudizio, è già stata oggetto di valutazione da parte del Comitato di Compliance dell’Unece (Commissione Economica per l’Europa delle Nazioni Unite) che sovrintende all’applicazione della Convenzione di Aarhus su accesso alle informazioni, partecipazione del pubblico ai processi decisionali e accesso alla giustizia in materia ambientale.

IL 6 LUGLIO 2021 IL COMITATO HA RITENUTO i costi eccessivi un evidente ostacolo finanziario all’accesso alla giustizia che dovrebbe invece essere garantito in tutti gli Stati che hanno sottoscritto l’accordo. Sono passati quasi quattro anni e il Governo italiano non ha fornito al Comitato neppure una bozza di proposta su come intende rendere concreto e accessibile il ricorso alla giustizia.

Al di là delle vicende di merito, il dato che appare più preoccupante è che, da un lato con l’inasprimento delle pene per chi protesta e il Ddl Sicurezza in discussione, dall’altro con queste pesanti condanne alle spese, sembra quasi che gli ambiti del diritto di manifestare e l’accesso alla giustizia in difesa dell’ambiente vengano di giorno in giorno sempre più limitati, proprio mentre sarebbe invece necessario aumentare il contrasto alle crisi ambientali provocate del cambiamento climatico e dalla perdita di biodiversità.

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*Responsabile Area Legale e Istituzionale Wwf Italia



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