A inizio 2025, a Bologna, è comparsa una scritta sulla vetrina dell’agenzia Wonderful Italy, uno dei principali network italiani di case vacanze: “STOP AIRBnB!”. Frasi simili sono apparse contemporaneamente in tutte le grandi città del Paese, accompagnate dall’immagine di un cappello a tricorno con una piuma rossa, che identifica gli autori di questi gesti.
Si fanno chiamare la “banda Robin Hood” e sono un gruppo di attivisti anonimi che, negli ultimi mesi, hanno preso di mira le sedi di Airbnb in tutta Italia, manomettendo i key-locker degli appartamenti e affiggendo manifesti ai muri dei palazzi. Le loro identità non sono note, ma il messaggio che portano è chiaro: la turistificazione delle città, di cui gli affitti brevi sono espressione, riduce la qualità della vita dei residenti, portando all’aumento dei canoni di locazione, a sfratti sempre più frequenti e al proliferare di esercizi commerciali e catene di consumo.
Il fenomeno Airbnb e le restrizioni nelle principali città turistiche europee
«La casa è un diritto, non una gallina dalle uova d’oro» affermano gli attivisti della banda, sostenendo che la piattaforma Airbnb abbia perso il suo scopo iniziale – quello di permettere alle persone di condividere il proprio appartamento o la propria camera – e sia diventata un covo di speculatori, i quali, sperando di trarre profitto dal settore, acquistano appartamenti per metterli a disposizione dei turisti, sottraendoli così a chi cerca una casa per vivere.
In alcune città europee, le amministrazioni locali hanno preso provvedimenti per arginare l’espansione incontrollata del fenomeno. A partire dal 1° gennaio 2025, Parigi ha introdotto ingenti sanzioni per gli host sprovvisti di licenza o che superano il limite di 120 notti annuali in cui un appartamento può ospitare turisti, un tetto adottato anche da Vienna, che fissa il limite a 90 giorni. Berlino, invece, ha vietato gli affitti brevi di appartamenti interi già dal 2016.
La posizione più rigida, tuttavia, è stata adottata dal sindaco di Barcellona, Jaume Collboni, il quale intende porre fine al mercato degli affitti brevi entro il 2029: nel novembre 2028 scadranno le licenze per appartamenti turistici e l’amministrazione non intende rinnovarle, rendendo così la città Airbnb free e rimettendo sul mercato degli affitti e delle vendite più di 100.000 immobili.
In Italia, una circolare emessa dal Ministero dell’Interno ha vietato la pratica del self check-in, attraverso la quale gli ospiti di una struttura potevano registrarsi online e accedere all’appartamento ritirando la chiave da un key-box posizionato all’esterno, il cui codice d’accesso era fornito dal proprietario. Ora l’identificazione degli ospiti deve avvenire obbligatoriamente di persona, ma per la banda di Robin Hood questo provvedimento non è sufficiente, sia perché i controlli sono poco efficaci e i key-locker sono ancora ampiamente utilizzati con questo scopo, sia perché si tratta di una soluzione provvisoria a un problema molto più grande: l’assenza di un adeguato diritto all’abitare in Italia.
La crisi abitativa in Italia e il vuoto normativo
Nel 2022 il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha pubblicato uno studio condotto dal Gruppo di lavoro sulle politiche per la casa e l’emergenza abitativa, basato su dati Istat, che offre un quadro approfondito della situazione abitativa in Italia, insufficiente a soddisfare i bisogni di tutta la popolazione, e caratterizzata da un forte divario tra diverse categorie socio-economiche, geografiche e demografiche.
I dati rilevati mostrano una preferenza tra gli italiani per l’acquisto della casa rispetto alla locazione: infatti, solo il 25% della popolazione vive in affitto, a fronte di una media europea del 34%. Tuttavia, non tutti possono permettersi di diventare proprietari, poiché i prezzi delle abitazioni aumentano più rapidamente dei redditi (come evidenziato dal Rapporto The State of Housing in the UE) e sono particolarmente elevati nelle grandi città. Di conseguenza, l’affitto rimane la soluzione più comune per le famiglie a basso reddito che vivono nei principali centri urbani.
Tra queste, si registrano alte percentuali di genitori single, famiglie con più di tre figli minori e nuclei in cui il principale sostentatore economico è disoccupato. La situazione delle famiglie straniere risulta ancora più difficile rispetto a quella dei cittadini italiani: solo il 20% di esse è proprietaria di un immobile, un dato che rappresenta un’inversione rispetto alla maggiore diffusione della proprietà tra le famiglie italiane.
A questi dati si aggiungono altre problematiche legate all’accesso alla casa in affitto: molti proprietari rifiutano locatari privi di contratto a tempo indeterminato, in quanto temono l’insolvenza nei pagamenti. Per ovviare a questo ostacolo nel 2013 è stato introdotto il Fondo Morosità incolpevole, con il quale le Regioni si impegnano a coprire temporaneamente le mensilità di persone che, per gravi motivi, non sono in grado di pagare; tuttavia, questo non offre completa garanzia ai locatori, in quanto l’efficienza del fondo può variare notevolmente da regione a regione.
I lavoratori stranieri, d’altra parte, si ritrovano ad affrontare ostacoli ancor più difficili: come racconta Vatty Bamba, cittadino ivoriano residente a Brescia da sette anni, spesso non basta disporre di un contratto a tempo indeterminato e di tutti i documenti in regola per riuscire a ottenere una casa. Lo stigma nei confronti dei migranti, soprattutto se provenienti dall’Africa o dall’Asia Meridionale, è talmente radicato che molti proprietari rifiutano categoricamente di stipulare contratti con queste persone.
Ai dati elencati finora si aggiunge la difficile situazione abitativa degli studenti, una problematica denunciata da anni da numerose organizzazioni giovanili, come Link – Coordinamento Universitario, che da tempo si battono per il diritto alla casa, indispensabile per garantire il diritto allo studio.
Nelle principali città universitarie italiane – quali Milano, Bologna, Roma, Padova e Torino – il costo di una singola varia dai 400 ai 600 euro al mese, e non tutte le regioni riescono a garantire la borsa di studio agli idonei. Ne è esempio il caso degli “idonei non beneficiari”, che, pur avendo diritto a un contributo in base al loro ISEE, non riescono a ottenerlo a causa dell’assenza di fondi sufficienti. Per questa ragione, le organizzazioni studentesche chiedono l’introduzione di un tetto massimo agli affitti, un maggiore investimento in studentati pubblici e restrizioni alla proliferazione degli studentati privati, che contribuiscono a inflazionare i prezzi degli appartamenti.
La risposta dei governi in questi anni è stata insufficiente, in quanto la normativa vigente affida la gestione di interventi nel settore abitativo a comuni e regioni, limitando i margini di azione dello stato. Il Decreto Legislativo 112/1998, nell’ambito della riforma del Titolo V della Costituzione, e la legge 133/2008 hanno trasferito la competenza in materia di politiche abitative alle regioni e agli enti locali. A ciò si aggiunge l’assenza di un Osservatorio Nazionale che permetta di raccogliere dati sistematici e aggiornati sul tema, un vuoto informativo che impedisce di avere un quadro completo della situazione ed elaborare piani efficaci.
In attesa che le istituzioni intervengano con decisione per risolvere le problematiche del settore e garantire un diritto all’abitare equo ed efficiente, sembra che saranno ancora una volta i “Robin Hood” della Sherwood del mercato immobiliare a cercare di rimediare alla situazione.
Beatrice D’Auria
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