Se potesse farlo, l’utente di Twitter Elon Musk faticherebbe non poco a riconoscere l’Elon Musk proprietario di X. Fino a qualche anno fa, l’imprenditore sudafricano non parlava praticamente mai di politica. Lo dimostra anche un’analisi della sua attività sulla piattaforma realizzata dal Wall Street Journal: nel 2021 la quota dei post politici era ferma ad appena il 2%; due anni dopo, quella percentuale è schizzata al 17%. E adesso, quasi tutti i suoi post si occupano di attualità politica.
Stando alla ricostruzione di Farrow, tutto è cambiato con la pandemia di Covid-19. L’iniziale opposizione ai lockdown e alle restrizioni sanitarie di Musk è sfociata in una più ampia opposizione alle posizioni «woke» (un termine usato in maniera dispregiativa per squalificare le cause progressiste), e via via in un deciso allineamento alle posizioni della destra statunitense – spesso e volentieri estrema. Per giustificare questa svolta Musk ha più volte detto di essere un «liberale» sui temi sociali e un «centrista» a livello generale, che in passato si è addirittura fatto «sei ore di fila» per stringere la mano a Barack Obama. Non è tanto lui a essere cambiato, insomma, ma il Partito democratico a essersi spostato troppo a sinistra, al punto tale da spingerlo a destra dello spettro politico.
In realtà, è Musk a essersi spostato autonomamente. La stessa acquisizione di Twitter, stando alla biografia autorizzata di Walter Isaacson, è stata dettata da un obiettivo ideologico ben preciso: fermare il «virus woke» che ha «infettato» la mente della figlia transgender Jenna (che ha tagliato ogni rapporto col padre) e rischia di «infettare» l’intera società. E in effetti, nonostante le promesse iniziali di Musk di garantire l’imparzialità e la neutralità politica di Twitter, la piattaforma ha sterzato in una sola direzione. Dopo aver decimato le risorse interne dedicate alla moderazione dei contenuti, il proprietario di Tesla e SpaceX ha personalmente deciso di ripristinare centinaia di account sospesi per aver promosso discorsi d’odio – tra cui quelli di Donald Trump, di neonazisti come Andrew Anglin, di estremisti di destra e di complottisti vari, su tutti Alex Jones di InfoWars.
Con questa mossa, ha detto il direttore Imran Ahmed del Center for Countering Digital Hate (Ccdh), «Musk ha accesso il Bat-segnale per tutti i razzisti, i misogini e gli omofobi, che si sono comportati di conseguenza». Invece di arginare il problema, segnalato da diversi rapporti indipendenti, il proprietario di X l’ha reso strutturale. E con il pretesto di garantire una «libertà d’espressione» assoluta è diventato il principale amplificatore di bufale razziste, notizie false, disinformazione transfobica e teorie del complotto diffuse dagli account di estrema destra con la spunta blu a pagamento.
Quello di Elon Musk è il primo caso di un magnate del settore tech che «viene radicalizzato dalla sua stessa piattaforma», come ha detto al Financial Times Bruce Daisley, l’ex responsabile di Twitter per l’Europa, il Medio Oriente e l’Africa. Nell’arco di appena due anni X si è trasformata in una propaggine del crescente attivismo politico di Musk, nonché in una vera e propria macchina propagandistica al servizio dell’estrema destra globale. Oltre ad aver sostenuto economicamente Donald Trump, l’imprenditore sudafricano ha messo la piattaforma a totale disposizione della campagna dei repubblicani, ottenendo in cambio il ruolo ufficiale di capo del «Dipartimento per l’efficienza governativa» (Doge, che è anche il nome di una criptovaluta) e quello ufficioso di «vicepresidente-ombra».
Musk ha poi allargato il suo raggio d’azione ad altri paesi. Ha sostenuto il presidente argentino Javier Milei, la presidente del consiglio Giorgia Meloni, il partito Reform UK nel Regno unito e Alternative für Deutschland in Germania, che ha descritto come «l’ultima scintilla di speranza» per un paese «sull’orlo del collasso economico e culturale». Tuttavia, il rapporto con il mondo Maga – il movimento che sostiene Donald Trump – e l’estrema destra europea è molto meno idilliaco di quello che può sembrare a prima vista. Recentemente Musk ha litigato con Nigel Farage, il leader di Reform UK, e con diversi esponenti di spicco del trumpismo. Nel primo caso l’ha liquidato come «inadeguato» a guidare il partito. Al suo posto Musk vorrebbe l’attivista Tommy Robinson (pseudonimo di Stephen Yaxley-Lennon), che al momento è in carcere per aver calunniato un rifugiato siriano ed è considerato troppo estremo persino per Reform UK. Nel secondo caso, il motivo del contendere è ruotato intorno ai visti H-1B per i lavoratori specializzati, molto usati nel settore tech statunitense. Musk si è schierato a favore dei visti, scatenando l’ira della destra Maga più radicale. L’influencer Laura Loomer, candidata due volte al Congresso, ha detto in un’intervista che Musk «sta diventando un peso» e ha invitato il presidente eletto a «prendere provvedimenti prima che crei dei problemi per la sua amministrazione».
Finora Trump l’ha sempre sostenuto pubblicamente. Ma in privato, almeno secondo le indiscrezioni raccolte dal New York Times, inizia a lamentarsi del fatto che Musk sia «un po’ troppo presente». Del resto, grazie al suo sconfinato potere economico e mediatico, l’imprenditore sudafricano si muove come se fosse uno stato con una propria agenda. E non è detto che quest’ultima debba coincidere sempre e comunque con quella dell’estrema destra, sia negli Stati uniti che in Europa.
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