Immaginatevi questa scena: Quentin Tarantino che apre le scatole di bobine di film in pellicola come se fossero confezioni di pasticceria che contengono torte o dolciumi. Immaginatevi che vicino a lui ci sia Martin Scorsese che fa la stessa cosa con ancor più ansia e bulimia e che entrambi si trovino in una delle più celebri e prestigiose cineteche del mondo.
Sono le immagini con le quali Jean François Raugier, direttore della programmazione alla Cinémathèque française, ha aperto al Circolo dei lettori di Torino il suo intervento, lo scorso 21 novembre al convegno “La valigia dei sogni: l’importanza economica e culturale del patrimonio cinematografico” organizzato da Torino Film Industry, Film Commission Torino Piemonte e dal Centro Sperimentale – Cineteca Nazionale.
Sia Tarantino che Scorsese infatti, anche se in momenti diversi, sono ricorsi alla frequentazione di quella che è forse la cineteca più celebre al mondo, frequentata da Truffaut e dai critici/registi dei “Cahiers du Cinéma”, quando hanno dovuto realizzare alcuni dei loro film come Hugo Cabret e Unglorious Basterds: hanno fatto ciò che avrebbe fatto uno scrittore, per documentarsi sull’epoca in cui sono ambientate le sue opere o, come nel caso di Scorsese, per scegliere materiali di repertorio da includere nel proprio (i film di Méliés). Lo scrittore sarebbe andato probabilmente in biblioteca dove vengono conservati i libri. Conservare i film è affare più complicato e impegnativo quanto importante.
“Il cinema oggi è un’arte strabica – dice Steve Della Casa, il conservatore a capo della Cineteca Nazionale – con un occhio si proietta nel futuro e con l’altro non finisce mai di scoprire e riscoprire il passato”. Soprattutto oggi che possedere diritti di materiali filmati, di finzione o documentari, del passato, significa possedere un patrimonio che ha notevoli potenzialità produttive e commerciali. “Il Luce è nato con una finalità di documentazione audiovisiva e di propaganda anche e soprattutto per gli analfabeti – ha detto Enrico Bufalini direttore dell’archivio storico del Luce, nato durante il fascismo, le cui immagini sono il primo indispensabile riferimento per la ricostruzione documentaria o di finzione del ‘900 italiano. “Oggi invece – aggiunge – sono tra le più cliccate sui social e le più usate dal cinema di finzione perlopiù in costume”, come testimonia l’uso che ne fanno un film come C’è ancora domani o la serie M.
In realtà gli archivi e le cineteche sono nati, all’origine, per un conflitto insanabile tra cultura ed economia. Ha detto al convegno di Torino ancora Raugier: “Gli archivi sono nati per impedire che i produttori si sbarazzassero di qualcosa che non ritenevano più redditizio”, ovvero i loro film una volta finito lo sfruttamento in sala.
Eppure oggi, acquistare i diritti di un film del neorealismo, per esempio, può costare anche più di 5000 euro al minuto. “Mentre se chiedi lo stesso in America, si possono superare i mila dollari”, ha raccontato Massimo Vigliar, della Surf Film, specializzata in documentari su autori e attori del cinema italiano. I produttori, insomma, oggi, sono quelli più attenti alla salvaguardia nel tempo della proprietà dei film che hanno realizzato.
Conservare, bisogna ricordarlo, è anche costoso. Se la digitalizzazione ha fissato standard di preservazione e conservazione impensabili fino ad una ventina d’anni fa, consentendo anche un accesso molto più largo e agevole ai materiali di repertorio delle library audiovisivo e delle cineteche, dall’altra ha imposto alle imprese della conservazione la necessità di tecnologie e budget di livello.
L’abitudine crescente della riproposizione dei classici in sala, come testimonia il successo di rassegne attive da più stagioni in alcune sale di Roma (il Quattro Fontane, la sala del Palazzo delle Esposizioni), apre spazi di mercato per i film del passato, ancora in buona parte da testare.
Tuttavia gli archivi non sono solo un tempio in cui esercitare l’amore feticista per il passato. “Bisogna guardare alle rappresentazioni del passato anche per interrogarle e smontarle, decolonizzarle e ribaltarle” ha detto Alina Marazzi che ha realizzato due film documentari costituiti integralmente di filmati di repertorio, Un’ora sola ti vorrei e Vogliamo anche le rose. “Lavorare al montaggio su materiali preesistenti offre tantissime possibilità: anche da un punto di vista della sostenibilità produttiva. Per certi versi, per gli autori di cinema, è proprio una bella opportunità per sperimentare”.
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link