“Via Almirante” a Grosseto e non solo, una strada molto pericolosa

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A pochi giorni l’uno dall’altro due fatti che sembrano lontani, una sentenza e l’intitolazione di una strada, riaprono il libro della storia nera d’Italia. Parliamo delle motivazioni, ora rese pubbliche, della sentenza della Corte di Assise d’Appello di Bologna.

Con la quale ha condannato Paolo Bellini (neofascista, killer di ndrangheta e uomo del Ros dei carabinieri), Piergiorgio Segatel (capitano dei carabinieri) e Domenico Catracchia (amministratore per conto del Sisde del condominio di via Gradoli a Roma dove i Nar basarono i loro covi) nonché il riconoscimento delle responsabilità della P2 di Licio Gelli e Umberto Ortolani; dei vertici dei servizi di sicurezza dello Stato nella persona di Federico Umberto D’Amato; di figure come Mario Tedeschi (senatore del Msi e direttore de Il Borghese) tratteggiano qualcosa di più di un evento criminale.

PERCHÉ QUESTE condanne si aggiungono a quelle definitive della banda neofascista dei Nar di Giusva Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini; perché integrano quelle per depistaggio contro Gelli, il generale Pietro Musumeci (capo del Sismi), il colonnello del Sismi Giuseppe Belmonte e Francesco Pazienza (che del servizio militare fu uomo di punta fino allo scoppio dello scandalo P2); perché convergono con le risultanze del processo al neofascista Gilberto Cavallini (condannato in primo grado e in appello).

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Tuttavia nelle carte del Tribunale di Bologna si incappa in una consistente e significativa presenza del Msi, il partito la cui fiamma arde alla base del simbolo di Fratelli d’Italia a significarne una diretta discendenza. Dalle fila missine proviene la gran parte della manovalanza dei terroristi Nar condannati e con loro il senatore Mario Tedeschi, già immortalato al fianco di Ignazio Benito La Russa nel film «Sbatti il mostro in prima pagina» di Marco Bellocchio durante un comizio monarchico-missino a Milano di inizi anni Settanta.

PARTICOLARE è la figura di Paolo Bellini che, dopo un breve passaggio nella «Giovane Italia», nel 1972 fu inviato in missione in Portogallo da suo padre Aldo e dal senatore del Msi Franco Mariani per prendere contatto con un ufficiale militare del regime salazarista e capire di quali protezioni godessero in quel Paese i dirigenti dell’eversione nera lì fuggiti dopo le inchieste sulla strage di Piazza Fontana e sul golpe Borghese.
«Della questione -si legge nelle motivazioni della sentenza- fu informato il segretario del Msi Giorgio Almirante in occasione di una visita che Aldo Bellini e il senatore Mariani gli fecero a Lavico Terme».

Nell’occasione Bellini ricevette un’offerta dai portoghesi per addestrarsi in Mozambico. Rifiutò e «con il placet di Almirante» rientrò in Italia seguendo la sua carriera criminale ma restando in contatto con l’ambiente missino tanto da poter affermare, nel corso del processo per la strage di Bologna, di essere stato «infiltrato in Avanguardia Nazionale per conto di Almirante».

Erano gli anni in cui l’ex segretario di redazione della «Difesa della Razza» – la rivista nata per promuovere le leggi razziali antisemite promulgate dal regime fascista di Mussolini nel 1938 – si destreggiava lungo la sottile linea di confine che avrebbe dovuto separare l’estrema destra parlamentare da quella eversiva.

ANNI IN CUI Almirante fu rinviato a giudizio per favoreggiamento del terrorista Carlo Cicuttini, segretario della sezione Msi di Manzano e autore della telefonata/trappola che provocò la strage di tre carabinieri a Peteano il 31 maggio 1972. Una vicenda da cui il capo del Msi uscì, evitando il processo, grazie ad una amnistia di cui scelse di avvalersi. Anni in cui (1973) il Parlamento votò l’autorizzazione a procedere contro di lui per ricostituzione del partito fascista.

Anni dove Almirante non solo minacciava gli avversari politici nei congressi («on. Berlinguer, noi prepariamo la gioventù all’eventualità di uno scontro frontale») e nei comizi (Firenze 1972) ma in cui annunciava al capo dell’antiterrorismo Emilio Santillo, 19 giorni prima dell’evento, la strage fascista e piduista del treno Italicus del 4 agosto 1974 indicando una depistante matrice di sinistra dell’eccidio.

COME SOSTENGONO i postfascisti oggi al governo, accompagnati dall’eterna ambiguità «terzista» dei liberali nostrani, ci sono stati due Almirante. Ma quali? Uno fascista e uno democratico? Si può rispondere con le sue parole del 1987: «Io la parola fascista ce l’ho scritta in fronte» e «democratico è un aggettivo che non mi convince». Tuttavia due Almirante ci sono stati veramente.

Il primo ha rappresentato il fascismo storico della Difesa della Razza; delle leggi antisemite; del collaborazionismo di Salò; dei bandi del Ministero della Cultura Popolare con la sua firma che annunciavano la fucilazione di renitenti alla leva e partigiani a Grosseto (dove oggi le istituzioni che esistono grazie alla Resistenza hanno deciso di intitolargli una strada). Il secondo ha incarnato il neofascismo che ha attraversato il corpo della Repubblica contestandone la natura antifascista e democratica nonché la radice resistenziale. Oggi Almirante ha una via intitolata. Una strada assai pericolosa per il Paese.

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