Non solo eresia, ma l’impegno per un nuovo modello di giurisdizione

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1. Parlando di Magistratura democratica, è stata spesso usata l’espressione “eresia” per indicarne la rottura rispetto alla concezione “ortodossa” della funzione giudiziaria, che muoveva dalla denuncia della pretesa neutralità della giurisdizione, fondata sul presupposto che la legge avesse sempre ragione e fosse lo strumento di una società ordinata – legge e ordine, appunto –  e che il giudice fosse solo chiamato alla sua applicazione, che egli altro non fosse che la “bocca della legge” e che, di conseguenza, le sue decisioni non fossero criticabili se non dal punto di vista tecnico. Questa impostazione era stata messa in discussione dall’entrata in vigore della Costituzione della Repubblica, che subordinava la legge ordinaria alla conformità ai suoi principi, contro i quali confliggevano allora molte delle leggi vigenti. Era soprattutto il principio di uguaglianza dell’art. 3 cpv. a evidenziare l’esistenza di una realtà che con quei principi strideva, impegnando la Repubblica e le sue istituzioni a operare per rimuovere o, almeno, attenuare la distanza tra principi e realtà dei rapporti sociali. È questo riferimento che caratterizzò – e caratterizza – il pensiero della nuova Md rispetto a quella del 1964, e anche rispetto alla imprescindibile rivendicazione della specificità della funzione giurisdizionale (magistrati, non funzionari) del Congresso di Gardone per l’esercizio del ruolo di tutela delle libertà e dei diritti delle persone.

 

2. La nuova Md spostò lo sguardo all’esterno (assumendo, anche se non sempre ci è riuscita e ci riesce, quello che più tardi Luigi Ferrajoli definirà il “punto di vista esterno”): alla società, ai movimenti che erano in corso in quegli anni, alle istanze di cambiamento e alle risposte che le istituzioni davano, al dissenso nelle molte sue forme, ai rapporti sociali, al lavoro, alle diverse forme della devianza. Era l’elaborazione di un pensiero sulla giurisdizione che muoveva dalla scoperta di una possibile diversa funzione del diritto, non più solo strumento di conservazione dell’ordine esistente, ma anche possibile fattore di critica di esso e di ampliamento della tutela delle libertà e dei diritti sulla base dei principi costituzionali. Era quindi un pensiero politico sulla giurisdizione, legittimato nella sua possibilità di esprimersi dal pluralismo ideale proprio dell’ordinamento costituzionale. Da qui la rivendicazione, anche da parte dei magistrati, del diritto di partecipare alla discussione pubblica sui temi riguardanti la convivenza sociale e in questo senso politica, non in quello della partecipazione al conflitto tra i partiti. Conseguente a questa impostazione è stata la rottura anti-corporativa, fino alla critica dei provvedimenti giudiziari da parte degli stessi magistrati, la cd. “interferenza”, in un tempo – occorre ricordarlo – in cui in generale la critica ai provvedimenti giudiziari era, se non inesistente, molto ridotta e comunque ritenuta sconveniente.

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3. C’è da aggiungere a questa sintetica ricostruzione che, nella prima fase della vicenda della Magistratura democratica rifondata nel 1969, si sono misurate due impostazioni. Nel decennio 1970 abbiamo vissuto un periodo storico in cui l’ipotesi di un cambiamento radicale dei rapporti sociali, nel senso di un superamento del capitalismo e della forma liberale di democrazia, era molto diffusa e dava corpo a progetti politici che contestavano la politica degli stessi partiti storici della sinistra. Non solo, dunque, era netto il contrasto progettuale tra forze politiche di maggioranza e di opposizione, ma a sinistra esistevano progetti e iniziative politiche di contestazione radicale degli assetti sociali e politici, le cui manifestazioni lambivano e, talvolta, superavano il confine dell’uso della violenza. Dalla sua nuova fondazione del 1969, in Md (nel suo dibattito interno) non vi è soltanto il richiamo dei principi fondamentali della Costituzione, vi è anche il riferimento e il confronto con quello che era definito complessivamente il movimento allora esistente nella società, il cui orizzonte, per alcune componenti di esso, andava oltre la Costituzione.

Significative, nel mio ricordo, alcune discussioni nelle assemblee locali e nei consigli nazionali sul rapporto tra impegno politico generale nel campo progressista, la militanza, e doveri della funzione di magistrato, esemplificato dalla risposta – che da taluni veniva data –: “prima militante e poi magistrato”. E sul rapporto con la Costituzione, ritenuta solo mezzo difensivo e non di contestazione al sistema, ingiusto, dei rapporti sociali in vigore. La discussione era tra chi vedeva Md come un luogo di critica radicale alle istituzioni esistenti e al loro comportamento, ritenuto non sufficiente a realizzare una piena democrazia, e chi invece riteneva che si potesse operare per modello alternativo di giurisdizione nel quadro istituzionale disegnato in Costituzione; insomma, per usare un’espressione di quel tempo: scegliere per una “accettazione critica delle istituzioni”. Va detto che in Md esistevano anche posizioni minoritarie, peraltro vivaci, caratterizzate da una contestazione radicale della stessa funzione giudiziaria. A distanza di anni si può dire che molto presto prevalse l’impostazione che ho definito accettazione critica delle istituzioni. Resta vero che, comunque, quello che accomunava le diverse posizioni era l’impegno per una giurisdizione capace di tutelare le libertà e i diritti, specie dei più deboli, il che significava soprattutto tutela dei diritti dei lavoratori e garantismo penale.

 

4. Nella sua evoluzione di pensiero e prassi, Magistratura democratica non si è però ritagliata il ruolo di una magistratura di minoranza sensibile solo o in prevalenza alle esigenze di tutela dei soggetti più deboli o marginali. Né, tanto meno, di una magistratura per il popolo di sinistra. L’ambizione di Md è stata quella di pensare e contribuire a realizzare, a partire dall’eresia iniziale, una giurisdizione capace di rispondere alle esigenze di giustizia di tutti i cittadini e più in generale di tutte le persone che richiedessero tutela dei diritti. Le sue caratteristiche strutturali – sensibilità alla tutela dei più deboli e rifiuto del corporativismo – hanno motivato in maniera più autentica il suo impegno e le sue proposte nell’istituzione. Magistratura democratica ha operato, sia con la propria elaborazione culturale sia con l’apporto professionale dei propri aderenti, in molti settori della giurisdizione, a partire da quello fondamentale del diritto del lavoro, sia con riferimento ai rapporti di lavoro subordinato sia con riferimento alla tutela della vita e della salute nei luoghi di lavoro.

In queste brevi riflessioni vorrei soffermarmi rapidamente sul contrasto al terrorismo e alla violenza diffusa. La forte difesa delle garanzie nel processo penale si accompagnò, nella elaborazione culturale del gruppo e nell’attività concreta di molti suoi componenti, a un impegno convinto, professionale e culturale, contro i fenomeni criminali e illegali, tra questi le manifestazioni di terrorismo e di uso della violenza nel conflitto politico. Quegli anni, ma anche i due decenni che seguiranno, sono stati segnati infatti da plurime e gravi manifestazioni di terrorismo e violenza. Md non è stata ambigua sulla necessaria repressione penale di esse. La discussione nel gruppo non è stata soltanto difesa convinta del garantismo, critica delle leggi speciali, difesa del dissenso anche radicale. È stata altresì discussione serrata sulla necessaria risposta repressiva alle manifestazioni di violenza nel conflitto politico e ai fatti di terrorismo. Significativa a questo riguardo mi sembra la vicenda del processo 7 aprile, di cui molti hanno scritto. Non andrebbe dimenticato che alla base di quella iniziativa giudiziaria vi erano fatti molto gravi di sistematica violenza diffusa in ambienti universitari e non solo. La discussione se di quei fatti dovessero rispondere anche intellettuali che analizzavano la società e le sue contraddizioni e disegnavano percorsi politici di rivolta, così come la discussione sui limiti, gli errori, le distorsioni processuali di quella inchiesta, evidenziati da ultimo nello scritto di Giovanni Palombarini, non devono far dimenticare la realtà violenta, all’interno di un più vasto movimento di protesta e dissenso radicali, che di quella iniziativa giudiziaria costituiva l’oggetto.

Quanto al terrorismo delle Brigate rosse e degli altri gruppi armati, Magistratura democratica non è mai stata ambigua, molti dei suoi componenti si sono professionalmente impegnati nelle indagini e nei processi. Non solo, ma il gruppo ha contrastato culturalmente e politicamente il terrorismo, intervenendo con suoi esponenti in numerose occasioni di dibattito nei luoghi di lavoro, in assemblee sindacali, nelle scuole, nelle università.

 

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5. Connessa e conseguente all’impegno nei vari settori della giurisdizione è stata la forte attenzione prestata al tema della formazione professionale, a cui si ricollegavano legittimazione e affidabilità davanti all’opinione pubblica. Professionalità intesa come consapevolezza culturale della funzione esercitata e preparazione tecnico-giuridica – da formare all’inizio, ma da continuare nel corso degli anni, sia a livello nazionale che decentrato. E, ancora, attenzione e impegno nell’organizzazione del lavoro negli uffici, a partire dalla cd. cultura tabellare, strumento per l’attuazione in concreto del principio costituzionale del giudice precostituito per legge, fino alla promozione di buone prassi organizzative. Certo, nei limiti dei compiti propri dei magistrati e nell’assoluta storica insufficienza dell’azione del Ministro della giustizia, a cui per costituzione spetta la responsabilità dell’apprestamento di un’organizzazione adeguata a un efficiente funzionamento del servizio giustizia. Infine, voglio ricordare l’importanza dell’Associazione nazionale magistrati nella storia di Md, considerata luogo essenziale per promuovere la consapevolezza della propria funzione da parte dei magistrati e tutelare in modo efficace sia l’autonomia e l’indipendenza sia le condizioni di lavoro, comprese quelle retributive.  Importanti ruoli di direzione e responsabilità sono stati svolti nell’Associazione da magistrati di Md, da Vincenzo Accattatis a Salvatore Senese (alla cui opera cui si deve principalmente, va ricordato, la definizione soddisfacente della disciplina del trattamento economico), a Elena Paciotti, Edmondo Bruti Liberati, Nello Rossi. Tutti esponenti di primo piano di Md, autori e protagonisti della sua storia e, nello stesso tempo, esponenti di primo piano della storia dell’Associazione. Sicché si può dire che Md è stata anche l’Associazione nazionale magistrati.

 

6. Tutto questo è il passato. Non di sola “eresia”, dunque, ma di impegno per la costruzione di un modello di giurisdizione in cui tutti coloro che credono nei principi costituzionali si potessero riconoscere all’interno del pluralismo ideale da quei principi previsto e garantito.

Ci sarebbe da chiedersi se ci siamo riusciti. In parte sì, credo, perché molto della nostra visione della giustizia si è diffuso all’interno della magistratura. Non tutto peraltro dipendeva, e dipende, dal nostro impegno. Soprattutto con riferimento al contesto politico generale. Battersi per una giurisdizione capace di tutelare i diritti di tutti, a partire dai più deboli, ha bisogno di un orizzonte politico generale in cui a quei diritti si creda – se non tutti, almeno la grande maggioranza dei consociati – e di visioni politiche che quei diritti promuovano. L’assenza, oggi, di queste visioni rende necessario ripartire dall’eresia di Magistratura democratica. 

Testo dell’intervento pronunciato nella festa per i sessant’anni di Magistratura democratica svoltasi a Roma nei giorni 9 e 10 novembre 2024, destinato alla pubblicazione sul numero 4/2024 della Rivista Trimestrale





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