Marcello Dell’Utri, Cosa nostra e la nascita di Forza Italia

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Le sconclusionate repliche di Marina Berlusconi

I legami tra Marcello Dell’Utri, ex senatore e braccio destro di Silvio Berlusconi, e la mafia continuano a sollevare domande inquietanti, intrecciando politica, affari e crimine in una trama che ha segnato decenni di storia italiana. Questo in estrema sintesi è stato il contenuto dell’inchiesta del giornalista Paolo Mondani di Report andata in onda su ‘Rai 3’ intitolata “Il Signor D” e condotta dal giornalista Sigfrido Ranucci.
Ad arricchirne il contenuto sono state le dichiarazioni di alcuni magistrati di punta come il sostituto procuratore nazionale antimafia e già consigliere togato del Csm Nino Di Matteo, il procuratore capo di Prato Luca Tescaroli, l’ex procuratore aggiunto di Palermo e oggi avvocato Antonio Ingroia, il giudice di Roma e già membro del pool antimafia di Palermo Alfonso Sabella e l’avvocato Fabio Repici ed altri. Marcello Dell’Utri, condannato nel 2014 a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa non è mai realmente uscito dalla narrazione giudiziaria e dalla storia politica del Paese. “Dell’Utri ha scontato definitivamente una pena per concorso in associazione mafiosa e quel concorso è consistito proprio, secondo la sentenza definitiva di condanna, nella sua intermediazione costante, fattiva, importante, dei rapporti tra i vertici di Cosa nostra e Silvio Berlusconi”, ha detto Di Matteo.
C’è un evento molto importante per capire il contesto dell’accusa mossa a Dell’Utri – ha continuato – quando nel luglio del 1994 venne approvato il cosiddetto decreto Biondi. Il giorno dopo il ministro degli Interni, quindi non l’ultimo dei politici, dice di essere stato ingannato. Nel decreto c’era una norma che avrebbe favorito enormemente i mafiosi. La norma prevedeva che se l’indagato per mafia avesse fatto richiesta alla procura di sapere se era indagato o meno la procura avrebbe dovuto comunicargli anche il suo status eventuale di indagato. Cioè la neutralizzazione dell’efficacia di tutte le indagini di mafia. Secondo noi era provato anche che nel 1994 Dell’Utri continuò a fare quello che aveva fatto prima. Prima con il Berlusconi imprenditore, poi a maggior ragione nell’ottica dei mafiosi con il Berlusconi politico”.

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Parole corroborate dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Di Carlo, boss deceduto di Altofonte avente rapporti con politici e servizi segreti (iniziò a collaborare nel 1996). “È l’unico testimone diretto di un incontro fra i mafiosi, Marcello Dell’Utri e Silvio Berlusconi – ha ricordato Antonio IngroiaUn incontro avvenuto intorno alla metà degli anni ’70 in cui lui si reca a Milano assieme al gotha di Cosa nostra del tempo perché c’era Stefano Bontade, principe di Villagrazia, e Mimmo Teresi. Uno degli obiettivi di quel viaggio era trovare potenziali imprenditori che potessero aiutare a trovare modi per ricolare denaro sporco. E Stefano Bontade in questo incontro dà rassicurazioni a Berlusconi, gli dice di stare tranquillo perché lui ha intorno delle persone delle quali si può fidare, che costituiscono una garanzia e poi c’è Dell’Utri al quale si può rivolgere per qualsiasi cosa”. “Alle origini probabilmente si trattava soltanto di una protezione dai rischi di sequestri. Poi l’impero mediatico di Berlusconi cominciò a svilupparsi e quindi quello diventa il pizzo per le antenne. Poi c’è il famoso attentato ai magazzini Standa di Catania. Riina alza il tiro. E’ proprio Dell’Utri che scende in Sicilia su incarico di Berlusconi per cercare di risolvere il problema. E il problema viene risolto. Lì ci fu il salto di qualità, Dell’Utri cominciò ad assumere impegni con l’organizzazione mafiosa che ci potesse essere anche un impegno politico di Berlusconi”.  Tra il 1992 e il ‘94 proprio mentre Berlusconi e Dell’Utri costruiscono Forza Italia si avvicendano omicidi politici e stragi. Alla reazione dello Stato molti pentiti confessano i rapporti tra Cosa nostra e Dell’Utri. Un rapporto che è cresciuto nei decenni tanto che lo stesso capo dei capi, Totò Riina, nell’agosto 2013, parlò sottovoce al suo compagno di cella al carcere di Opera Alberto Lo Russo dei soldi pagati da Berlusconi fino al 1990 tramite Dell’Utri a Cosa nostra. “A noialtri – disse Riina – ci dava duecentocinquanta milioni ogni sei mesi, duecentocinquanta!”. “Chiddu veniva… il palermitano era amico di chiddu, ‘u senaturi. Sto senaturi serio era, debbo dire la verità”.

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Il procuratore aggiunto facente funzioni di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo

L’inchiesta dei pm di Firenze

Il processo di Dell’Utri per concorso esterno alla mafia iniziò nel 1994 e si concluse nel 2014 con una condanna a sette anni (cinque dei quali trascorsi in carcere). Nel frattempo i magistrati di Palermo, Caltanissetta e Firenze hanno cercato i mandanti esterni delle stragi e per tre volte hanno indagato Berlusconi e Dell’Utri per poi archiviarli. Poi nel 2017 la procura di Firenze ha riaperto quelle indagini che hanno preso una piega totalmente nuova quando il boss di Brancaccio Giuseppe Graviano testimoniò al processo a Reggio Calabria ‘Ndrangheta stragista’ condotto dal procuratore aggiunto facente funzioni Giuseppe Lombardo. In quell’occasione decise di fare rivelazioni sensazionali su chi avrebbe determinato il suo arresto e commissionato le stragi.
In particolare nella trasmissione si è parlato del fallito eccidio allo Stadio Olimpico del 1994. “Possiamo considerare un dato certo che non è dipeso dall’impossibilità da parte dell’organizzazione mafiosa di continuare negli attentati perché erano ancora in libertà Matteo Messina Denaro, Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca e molti altri boss mafiosi. Inoltre l’organizzazione disponeva di armi e di esplosivo in grande quantità e quindi se avesse voluto avrebbe potuto continuare” ha detto Luca Tescaroli, il quale ha specificato che dalle sentenze emerge che “soggetti esterni a Cosa nostra che hanno fortemente voluto quelle stragi, appartenenti al mondo imprenditoriale finanziario economico e politico istituzionale”.

Come ricordato dal magistrato Alfonso Sabella, nei processi “veniamo a scoprire che in quelle settimane qualcosa di particolare è accaduto. Veniamo a scoprire che Giuseppe Graviano, quindi il dominus di quell’attentato (attentato all’Olimpico, ndr), avrebbe incontrato Berlusconi o Dell’Utri. Siamo a gennaio 1994. Siamo a tre mesi dalle elezioni che avrebbero portato a vincere Berlusconi”.

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Il Procuratore capo di Prato, Luca Tescaroli

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Quell’attentato – secondo Sabella – sicuramente non conveniva a Berlusconi”.

Perché se fossero morti dei carabinieri non sarebbe stato facile vincere le elezioni.

Ma allora perché si fermò la strategia stragista di Cosa nostra proprio in concomitanza con il fallito attentato all’Olimpico e, successivamente, con l’arresto dei fratelli Graviano?

Proprio il boss di Brancaccio durante il processo ‘Ndrangheta Stragista, aveva parlato di “arresto anomalo” lasciando intendere di essere stato tradito da qualcuno. Da chi? Secondo Sabella non si può escludere che quel qualcuno possa essere stato proprio Marcello Dell’Utri.

Nel suo flusso di coscienza, tanto in aula quanto durante i passeggi durante l’ora d’aria con Umberto Adinolfi, è certo che Graviano ha fatto più di un riferimento ai suoi rapporti con Berlusconi e su richieste ricevute affinché fosse messa in atto “una bella cosa”.

Per gli inquirenti un riferimento alle stragi.

Interrogato il 20 novembre del 2020 Graviano ammise che si riferiva proprio a Berlusconi ma alla domanda specifica dei pm: “Ci dica se Berlusconi è stato mandante delle stragi” il boss aveva risposto: “Non lo so se è stato lui”. I legali dell’ex premier hanno bollato come infondate le parole di boss palermitano. E non essendo un pentito vanno sempre prese con le molle.

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Le inchieste sulle stragi del magistrato Gabriele Chelazzi

Collaboratore di giustizia è invece Luigi Sparacio (ex boss messinese). Il 19 maggio 1999 al magistrato di Firenze Gabriele Chelazzi Sparaci rivelò che prima di questi attentati si era incontrato a Roma con Stefano Delle Chiaie che dava delle strategie politiche a Cosa nostra e che consegnò una mappa dell’Italia con segni fatti con la “x” che rappresentavano gli attentati da fare. Nello stesso verbale Sparacio parlò di un inquietante vertice con Marcello Dell’Utri a Rodia, vicino Messina, nell’estate 1992. Una riunione a cui partecipò Michelangelo Alfano (imprenditore mafioso), Rosario Pio Cattafi, Filippo Battaglia e Marcello Dell’Utri.

Alfano con Dell’Utri “dovevano fare investimenti su Milano” ha detto Sparacio al giornalista di Report Paolo Mondani: “Loro parlavano d’affari… erano in affari… Non leciti. Con tutto il rispetto non voglio parlare di nulla.”

L’imprenditore Michelangelo Alfano che frequentò Dell’Utri, secondo verbali di Sparacio, era l’organizzatore di riunioni romane alla presenza del boss stragista Leoluca Bagarella nelle quali si pianificarono attentati e omicidi contro lo Stato proprio nel periodo delle stragi. Di quelle indagini sulle bombe del 1993 e 1994 si occupò il pm Chelazzi (misteriosamente morto nel 2003). “Si può dire che il dottor Chelazzi – ha ricostruito l’avvocato Fabio Repici – scoprì che sicuramente era vero che alcuni imprenditori legatissimi a Michelangelo Alfano operassero a Milano. Ed erano in società niente meno che con la figlia di Vittorio Mangano, lo stalliere di Arcore e in rapporti con Marcelo Dell’Utri. Se si guarda l’informativa del Gico di Firenze del 3 aprile 1996 si vede come Rosario Cattafi, e i suoi soci come Filippo Battaglia, avessero contatti con tutti i dirigenti delle imprese produttrici di armi in Italia. E con esponenti della magistratura, delle forze di polizia e dei servizi segreti”.

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L’avvocato Fabio Repici e il giornalista Paolo Mondani

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Il fallito progetto delle leghe meridionali e la nascita di Forza Italia

Le sentenze hanno confermato che le stragi del 1992-1994 sono state parte di un progetto di destabilizzazione dell’Italia e dei partiti della prima Repubblica per sostituire a loro altri referenti politici. Tramite di questo piano eversivo fino alla fine del 1990 è stata la Lega Meridionale Centro Sud e Isole.

Antonio D’Andrea (vice segretario nazionale della Lega) ha raccontato che si sono iscritti alle Leghe Meridionali Vito Ciancimino, Licio Gelli, il figlio del “Papa” di Cosa Nostra Michele Greco e Pino Mandalari (commercialista di Totò Riina). Ha raccontato inoltre che per il progetto delle Leghe Meridionali una serie di imprenditori, banchieri, servizi segreti e massoni avevano promesso un finanziamento di cento milioni di dollari.

Fu una raccolta fatta in ambito degli imprenditori meridionali”, ha detto.

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Questi soldi finirono “sotto il controllo del vescovo di Monreale, monsignor Cassisa (Salvatore, ndr). E poi tramite anche Salvo Lima vengono drenati verso lo IOR. Parte di questi soldi verrà impiegata nell’attività politica-istituzionale di ambienti vicini ad Andreotti”. A quel tempo ci fu “Sbardella che finanziava e rilanciava Comunione e Liberazione”.

D’Andrea scoprì il piano eversivo alla fine del 1990 e quindi decise, insieme ad altri dirigenti della Lega, di rompere con i destabilizzatori Licio Gelli e Stefano Delle Chiaie cambiando nome al partito e rinunciando ai cento milioni di dollari. Cosa nostra abbandonò così il suo primo referente politico e proprio in quelle settimane D’Andrea ebbe uno strano incontro con Marcello Dell’Utri.

L’incontro viene organizzato tramite Giuseppe Greco, figlio di Michele Greco, che ne aveva parlato con Maurizio Costanzo che organizza l’incontro tra me e Dell’Utri. Incontro Dell’Utri perché c’è la necessità di avere un minimo di visibilità mediatica con le Leghe Meridionali. Siamo nel 1991. E questa visibilità mediatica sarebbe dovuta avvenire attraverso Mediaset. In realtà l’incontrò dura un po’ di più di due ore. Dell’Utri mi fa una serie di domande su come funziona un partito e alla fine mi mette davanti un preventivo da pagare di 14 o 18 miliardi di lire per andare in tv da Costanzo. Io dico: ‘Mi dispiace la Lega non ha questi soldi e quindi non può pagare. E quindi c’è stato un equivoco’”.

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In altre parole Dell’Utri con quella richiesta bloccò di fatto la pubblicità delle Leghe Meridionali e strozzò sul nascere il progetto.

Ma perché?

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Ranucci in studio con, sullo sfondo, un giovane Giuseppe Graviano

Nel momento in cui io incontro Dell’Utri secondo me Dell’Utri ha già in animo di fondare Forza Italia”, ha detto D’Andrea.

E poi ancora: l’enorme richiesta economica avanzata da Dell’Utri non sarebbe stata una normale parcella: sembrò – parlando nel solco di una mera ipotesi – un invito a farsi da parte. A quel punto D’Andrea avrebbe avuto una possibilità: riabbracciare il piano eversivo e riottenere i soldi dalla mafia.

Ma come avrebbero risposto i boss?

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Se io avessi chiesto alla mafia ‘datemi i 18 o 16 miliardi che li devo dare a Dell’Utri’ la mafia avrebbe detto non c’è problema scorporiamo 16 miliardi”.

Che significa?”, ha chiesto Paolo Mondani.

Milano 2 non si è fatta per l’abilità imprenditoriale di Berlusconi né le reti Mediaset di allora si sono fatte per l’abilità dell’imprenditorie radio televisivo Berlusconi che ancora non lo era. Certamente sono stati fatti investimenti da parte di meridionali. Anche se qualcuno di loro stava anche al nord. Sono stati fatti questi investimenti ma molti di questi soldi poi non sono tornati. Qualcuno ancora oggi reclama la restituzione di qualche quota. Per esempio Giuseppe Graviano”.

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La fonte del patrimonio miliardario della Fininvest

Report ha ricostruito l’inchiesta della Procura di Firenze soffermandosi su una perizia – agli atti – datata 5 luglio 2024, nella quale si spiegano le origini finanziarie dell’impero berlusconiano. La procura di Palermo aveva lungamente indagato sulla provenienza di circa 16 miliardi di vecchie lire finiti nelle casse berlusconiane tra il 1977 e il 1978. I pm siciliani, però, archiviarono il fascicolo in cui si ipotizzava il riciclaggio. E già nella sentenza di primo grado su Dell’Utri, il tribunale sottolineava come la procura non fosse riuscita a trovare alcun riscontro sull’ipotetico ingresso in Fininvest di capitali esterni. Report è tornata sull’argomento citando appunto quest’ultimo. “Il totale, miliardo più miliardo meno, ammonta a 80 miliardi tra il 1978 e il 1984, con queste operazioni tramite fiduciarie, quindi non sappiamo la fonte del denaro. Chi coprivano le fiduciarie?”, ha detto Gian Gaetano Bellavia, esperto di Diritto penale dell’economia. Negli anni successivi, si fa notare, sarebbe stato possibile sapere chi c’era dietro quelle fiduciarie. Per dieci anni infatti i dati delle operazioni delle fiduciarie vengono conservate, solo dopo vengono distrutti. “Certo che era possibile, ma se non l’ha fatto nessuno…”, ha detto Bellavia.

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I soldi di Berlusconi a Dell’Utri

La trasmissione ha analizzato anche il denaro incassato negli anni da Dell’Utri: negli ultimi tempi si è molto parlato dei trenta milioni destinati dal testamento dell’ex premier al suo storico braccio destro. Dal 2021, invece, l’ex senatore di Forza Italia è titolare di un vitalizio di trentamila euro al mese.
Ma non solo. “I dati forniti dalla Dia dicono che tra il 1988 e il 1994 Dell’Utri ha preso stipendi da lavoro dipendente per 11,8 miliardi di lire. Pari a 22 miliardi odierni, cioè 11 milioni di euro. Come se avesse avuto in sette anni un milione e due, un milione e tre, centomila euro al mese di stipendio. Quelli della finanza americana, forse, hanno emolumenti di questo tipo”, ha detto Bellavia durante la trasmissione. E in effetti, ha ricordato dunque Mondani, John J. Mac, direttore operativo Morgan Stanley tra il 1997 e il 2001, prendeva uno stipendio di 800mila dollari all’anno. Mentre Cesare Romiti, amministratore delegato di Fiat negli anni ’90, dichiarò d’incassare circa un miliardo all’anno. Dell’Utri, quindi, da presidente di Pubblitalia guadagnava molto di più dell’ad Fiat e del numero uno della Morgan Stanley.

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Miranda Ratti insieme al marito, Marcello Dell’Utri

In conclusione, “dall’88 al ’94 praticamente prende 45 miliardi di vecchie lire. Dal 2012 al 2021 altri 42 milioni di euro. Più i trenta milioni dal testamento, più trentamila euro”, hanno ricostruito Bellavia e Mondani. Ma, si specifica, “non sappiamo cosa succede dal 74 all’88”. Ma quindi dove è andata a finire tutta questa massa di denaro? “Una grossa parte alla moglie (Miranda Ratti, ndr) e ai figli, che infatti nel 2014 evidenziano nella dichiarazione dei redditi disponibilità estere per 25 milioni di euro” ha spiegato Bellavia. Che poi si chiede: “Ma tutto questo denaro prima dove andava?”. L’esperto è pure autore di un’altra domanda scottante, relativa alla fine dei soldi che Berlusconi, ipoteticamente, custodiva all’estero. Da sottolineare come non ci sia alcuna prova che l’ex premier avesse ancora denaro fuori dall’Italia al momento della morte. “Io dubito fortemente che i soldi di Berlusconi siano rientrati in Italia, perché l’entità era talmente elevata che si sarebbe avuta notizia. Io credo che siano ancora all’estero. Ma il vero tema è: oggi di chi sono? Degli eredi?”. I legali della famiglia Berlusconi hanno scritto durante la trasmissione affermando categoricamente che nemmeno un euro è entrato nelle disponibilità degli eredi. In altre parole non hanno ricevuto nulla all’infuori di quanto previsto dal testamento.

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La ‘vicenda’ Baiardo, Giletti: “Fu pagato”

L’inchiesta di Report trasmessa ieri sera ha peraltro contribuito a chiarire ulteriormente la complessa vicenda del fiancheggiatore dei Graviano, Salvatore Baiardo, oggi in carcere.

Fu lui a prevedere con insolita precisione l’arresto imminente di Matteo Messina Denaro. Lo aveva fatto in un’intervista al giornalista Massimo Giletti che, rivela Report, rilasciava a pagamento.

Il signor Baiardo – diceva Giletti – è stato pagato…”.Sì, sì, due fatture da 15mila euro, due volte” gli ha risposto Minoli.  Giletti ha inoltre raccontato che, oltre alle foto di Baiardo, c’era una trasmissione su Dell’Utri che non andò mai in onda. “Certo, se riuscissi ad avere adesso quell’incontro con la premier” consigliò Minoli a Giletti, facendo riferimento a Giorgia Meloni, “sarebbe molto importante”. E Giletti gli rispose: “Lo devo fare per forza”.

Oltre a questa trasmissione su Dell’Ultri si è fatto riferimento pure all’esistenza (ipotetica, fino ad ora non è mai stata trovata né ci sono prove che esista realmente) di una fotografia che ritraeva nel 1992 Berlusconi, il generale dei carabinieri Francesco Delfino e il boss Graviano. Baiardo oggi invece nega tutto.

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Massimo Giletti © Imagoeconomica

Secondo le ricostruzioni di Report sarebbero spuntate anche alcune intercettazioni telefoniche nelle quali Massimo Giletti sarebbe tornato a parlare dell’intervista a Baiardo, lamentandosi della ‘censura’ che portò poi alla chiusura del suo programma ‘Non è L’Arena’ e che segnò la fine della sua avventura su La7. “Paolo Berlusconi chiama l’editore di La7 Urbano Cairo per protestare contro le rivelazioni di Baiardo. Cairo chiede a Giletti di incontrare Berlusconi ma Giletti rifiuta” racconta Mondani nel servizio della trasmissione di Sigfrido Ranucci: e “l’11 aprile chiude la trasmissione e scoppia il putiferio”.

Intanto il soggetto della trasmissione di Giletti mai andata in onda, Marcello Dell’Utri, è stato contattato dal giornalista Mondani, ma l’ex senatore ha liquidato le domande con un sarcastico “no me gusta”; nonostante avesse già rilasciato interviste ad altri quotidiani come ‘Il Corriere della Sera’, ‘Il Foglio’, ‘Il Giornale’, etc.

Nel frattempo la figlia di Silvio Berlusconi, Marina, ha già annunciato querele contro la trasmissione di Report: “Faremo ricorso a tutti gli strumenti legali più idonei per reagire a questo ignobile e vergognoso esercizio di pseudo giornalismo”, si legge nella nota integrale della Fininvest Spa.

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Marina Berlusconi © Imagoeconomica

Ranucci ha ribattuto affermando che l’inchiesta di Report è stata “rigorosa” e che si è basata “su documenti e dichiarazioni vagliate dai magistrati“. Ranucci in merito ha sottolineato inoltre che l’inchiesta ha suscitato “grande interesse pubblico” ed “è stata seguita da punte di oltre 1,5 milioni di telespettatori“. “Si è dato conto – spiega il conduttore – delle novità emerse dalle perizie finanziarie economiche emerse dalla Procura di Firenze dove Silvio Berlusconi era indagato e dove oggi è ancora indagato Marcello Dell’Utri“. Inoltre, ha continuato il conduttore, “si è data possibilità alla famiglia e a Dell’Utri di intervenire e in alternativa si è dato ampio spazio alle risposte dei legali“.

Per rivedere la puntata di Report: raiplay.it

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