Lo scudo penale del governo per i poliziotti in piazza (anche per omicidio): «Fate presto, ci vogliono ammazzare»

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La norma servirà a evitare l’iscrizione automatica nel registro degli indagati. L’ipotesi dell’inserimento nel Dl Sicurezza e quella del decreto. L’agente in servizio a Bologna: «Ho visto la morte in faccia»

Uno scudo penale per gli agenti in piazza. E che agiscono nell’esercizio delle loro funzioni. Che eviti ai poliziotti l’iscrizione nel registro degli indagati in caso di atto dovuto. Togliendo la competenza alle procure e affidandola al procuratore generale delle corti d’appello. A questa norma lavora il governo Meloni, che prova a inserirla nel disegno di legge Sicurezza in discussione al Senato. Validandola per tutti i reati che prevedano l’utilizzo di forza fisica. Compreso l’omicidio. Mentre chi tra le forze dell’ordine era a Bologna durante la manifestazione per Ramy dice che la guerriglia urbana era finalizzata ad uccidere i poliziotti: «Ho visto la morte in faccia. Non mi vergogno ad ammetterlo. In tanti anni di servizio non ho mai avuto così paura. Neanche durante i conflitti a fuoco».

Lo scudo penale per la polizia

Allo scudo penale per la polizia sta lavorando il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano. Su richiesta della premier Giorgia Meloni. Che durante la conferenza stampa di inizio gennaio ha proposto un encomio per il maresciallo Luciano Masini. Il quale ha ucciso il cittadino egiziano Muhammed Sata che aveva accoltellato quattro persone a Verucchio. La norma avrebbe due effetti concreti. Il primo è evitare l’indagine nei confronti degli agenti: l’istruttoria sarebbe decisa in una prima fase dal ministero dell’Interno. Per poi effettuare l’iscrizione nel registro degli indagati soltanto in presenza di indizi chiari nei confronti del soggetto. Il secondo è spostare la competenza dalle procure alle Corti d’Appello. Con l’effetto, secondo l’esecutivo, di avere una posizione più accomodante nei confronti dell’indagato.

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La nuova legge

Un provvedimento come questo metterebbe al riparo chi indossa la divisa dall’inevitabile stigma e dai tempi lunghi dell’indagine che spesso comportano anche una sospensione dal servizio e dallo stipendio. L’opzione di scegliere questo percorso, spiega oggi Repubblica, sarebbe comunque a discrezione del pm. Il magistrato inquirente manterrebbe infatti gli strumenti per verificare i fatti e potrebbe comunque procedere all’iscrizione se, nel corso delle indagini, venissero fuori prove a carico.

Il testo dovrà passare dal consiglio dei ministri, anche se difficilmente accadrà in quello convocato per oggi, vista la complessità di ridefinire il quadro normativo. Nel provvedimento all’esame del Senato ci sono venti nuovi reati. Tra questi l’ipotesi di tramutare un sit in in un blocco stradale. Ma ci sono anche norme che equiparano la cannabis light alle droghe e che prevedono che i servizi possano stipulare convenzioni con università e enti di ricerca che prevedano la comunicazione di informazioni in deroga alle norme sulla privacy.

Il poliziotto in servizio a Bologna

Intanto su Libero parla uno dei poliziotti in servizio a Bologna durante la manifestazione per Ramy Elgaml, il 19enne egiziano morto a Milano lo scorso 24 novembre mentre veniva inseguito con un suo amico dai carabinieri. «Non ho mai visto una cosa del genere. Non ho mai visto tavoli di ferro, sedie, contro di me. Ho visto i miei colleghi feriti: uno con una spalla lussata, un altro con un dente rotto, un terzo che dall’alba di domenica sente un fischio nell’orecchio: un bombone gli è esploso sotto i piedi. A me hanno lanciato una bottiglia in faccia. Le immagini le avete viste tutti, ma credetemi: un conto è vederle, altro è starci in mezzo», dice il poliziotto.

E ancora: «Avevo l’adrenalina a mille… Non sono neanche riuscito a dormire dopo aver “staccato”. Per inciso: ho staccato alle quattro del mattino. Avevo preso servizio alle 18 del giorno precedente, quando era iniziato il corteo da piazza Maggiore». Difficile dimenticare: «Sono ancora, come posso dire, disturbato. Ho ammaccature ovunque. E devo continuare a lavorare, scrivere decine di carte. Perché il nostro lavoro è questo. Ma c’è un limite a tutto. Nel senso: fate qualcosa, altrimenti ci ammazzano».

Vogliono il morto

Secondo il poliziotto «vogliono il morto, vogliono i morti. Perché devono vendicare Ramy». Ramy, in nome del quale tutto è iniziato. «Se si fosse fermato davanti ai Carabinieri, non sarebbe accaduto nulla». Ma questa è un’altra storia. Il presente sono le piazze che ribollono. «Io vorrei andare dal capo della Polizia e dirgli: fate qualcosa, qualcosa di grosso, altrimenti ci uccideranno». Poi la concessione: «Certo, a scendere in piazza saranno pure persone perbene, cui interessa davvero la morte di Ramy o il destino dei palestinesi, ma poi ci sono gli infiltrati».

Quelli che scatenano il caos, «con tutto ciò che riescono a procurarsi. E anche se hai manganello, casco e scudo, quando vedi tanta gente incattivita contro dite la paura arriva». L’appello a «fare qualcosa» è anche a nome dei suoi colleghi. «I miei colleghi feriti… Gli stessi ai quali ogni giorno dico: mattiamoci la divisa e andiamo. E noi andiamo ovunque: nelle piazze, negli stadi… Ora non ce la facciamo più. Io nella notte tra sabato e domenica ho avuto paura di non rivedere i miei figli. E lo stesso timore lo hanno avuto i miei colleghi».



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