Con l’ordinanza n. 813 depositata ieri, 13 gennaio, la Cassazione, con considerazioni tutt’oggi valide anche se con riferimento alla previgente legge fallimentare, si è espressa in merito all’opponibilità al fallimento dell’incarico professionale stipulato tra il curatore e l’avvocato, nominato difensore della procedura.
L’accordo per la determinazione del compenso professionale tra l’avvocato e il suo cliente (ivi incluso il curatore) deve, ai sensi dell’art. 2233 comma 3 c.c., avere la forma scritta, salvo incorrere, in caso contrario, nella sua nullità.
Ciò non determina alcun conflitto con la previsione di cui all’art. 13 comma 2 della L. 247/2012 che, sebbene preveda che il compenso sia pattuito di regola per iscritto all’atto del conferimento dell’incarico professionale, disciplina il solo momento in cui l’incarico può essere stipulato, lasciando intatta la prescrizione della forma scritta, a pena di nullità (Cass. n. 15563/2022).
Tuttavia, posta l’indefettibile forma scritta dell’accordo, per la Suprema Corte ciò non si traduce nella necessità che la volontà negoziale debba risultare da un unico documento che rechi, contestualmente, la sottoscrizione di entrambe le parti (il curatore e il professionista incaricato).
La proposta di affidamento dell’incarico e la successiva accettazione del professionista incaricato, infatti, può risultare anche da scritture ulteriori e non contestuali da cui possa ugualmente (e in modo incontrovertibile) desumersi l’incontro della volontà delle parti.
Si precisa che il requisito della forma ad substantiam non richiede né l’indispensabile compresenza fisica delle parti stipulanti, né l’adozione di particolari formule sacramentali; è sufficiente che la volontà di stipulare l’accordo si possa desumere dal contesto documentale complessivo.
In tal senso, l’incontro della volontà negoziale può risultare da una scrittura privata che rechi le sottoscrizioni dell’accordo, che possono anche essere contenute in documenti diversi ma inscindibilmente collegati, in modo da evidenziare, inequivocabilmente, l’incontro dei consensi delle parti (Cass. nn. 5919/2016 e 2256/2007).
Nel contratto di patrocinio, inoltre, il requisito della forma scritta è soddisfatto anche con il rilascio al difensore della procura ai sensi dell’art. 83 c.p.c., posto che l’esercizio della rappresentanza giudiziale tramite la redazione e la sottoscrizione dell’atto difensivo perfeziona, mediante l’incontro di volontà fra le parti, l’accordo contrattuale in forma scritta, rendendo così possibile l’identificazione del contenuto negoziale (Cass. SS.UU. n. 9775/2022).
La pronuncia affronta anche il tema della quantificazione dei compensi affermando, innanzitutto, che se il curatore è vincolato dalla forma (scritta) dell’accordo è, invece, del tutto libero rispetto al suo contenuto e, ulteriormente, rispetto alla pattuizione dei compensi.
Ne consegue, dunque, ai sensi dell’art. 13 comma 3 della L. 247/2012, che il compenso possa essere pattuito a tempo, ovvero in misura forfetaria oppure per convenzione avente a oggetto uno o più affari; ulteriormente, il compenso può essere agganciato all’assolvimento e ai tempi di erogazione della prestazione, o anche in percentuale sul valore dell’affare o sul beneficio recato al destinatario della prestazione.
Unico limite è rappresentato dal divieto di concordare come compenso l’intero ovvero una quota del bene oggetto della prestazione (art. 13 comma 4 della L. 247/2012).
In questo contesto, il giudice delegato è chiamato a liquidare il compenso del professionista (art. 123 comma 1 lett. d) del DLgs. 14/2019), in conformità all’accordo validamente ed efficacemente stipulato dal curatore; diversamente, se dovesse mancare la determinazione consensuale del compenso in forma scritta all’atto dell’incarico (o anche successivamente), il giudice delegato provvederà in base ai parametri di cui all’art. 1 comma 1 del DM 55/2014.
L’applicazione dei parametri di cui al DM 55/2014, infatti, trova applicazione quando manca la determinazione consensuale del compenso e non anche quando gli stessi siano stati concordemente determinati tra le parti; di conseguenza, di contro, le parti non possono invocarne l’applicazione se hanno già provveduto ad accordarsi sui compensi.
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