Domenica 12 gennaio 2025 si è svolta la Marcia della Pace a Como. Un arcobaleno di pacifisti e nonviolenti è apparso davanti alla Caserma De Cristoforis. Galvanizzato dalle parole accorate di don Diego Fognini (responsabile di Libera in provincia di Sondrio, storica presenza alle marce di Como, noto per la sua dedizione esemplare alla giustizia sociale, al fianco degli impoveriti e dei tossicodipendenti). [Le foto e i video della Marcia]
L’arcobaleno ha attraversato la città, con una significativa pausa tecnica per ricompattare le fila sterminate in via Milano alta, saturata del tutto, ed è entrato nella città murata da Porta Torre, ove ha fatto risuonare canti e musiche contro la guerra grazie al prezioso apporto del Baule dei suoni di Albese con Cassano. Si è poi incuneato nel centro storico, contendendo, caso raro, strade e piazze ai discepoli del consumismo, che hanno, almeno per una volta, dovuto cedere il passo alla politica. Infine esploso in Piazza Verdi, nei pressi dei simboli della vita culturale e religiosa della città: lì si sono tenuti i comizi finali di Luciano Scalettari (giornalista di Famiglia Cristiana, collaboratore dell’Atlante delle guerre e dei conflitti del mondo, presidente dell’ong Res-Q), di Camilla Pizzi (Arci Como, attivista di lungo corso, nonostante la giovane età), che ha illustrato contenuti e finalità della campagna Seminare Pace, e di Roberto Caspani (presidente al secondo mandato del Coordinamento comasco per la Pace, di cui è stato più volte consigliere). Si è sentita la mancanza dell’intervento previsto di Egidia Beretta (la madre del martire per la Pace e per la causa palestinese Vittorio “Vik” Arrigoni), assente per malattia, che pure ha fatto pervenire un contributo tratto dalle riflessioni del figlio. Solo QuiComo afferma che Egidia c’era: sarà stato un comizio privato? O forse un miraggio, visto che anche la parola d’ordine «Lunga vita a chi diserta!» è stata trasformata in «Lunga vita a chi deserta!» (la moglie del deserto).
Questi i numeri più significativi: presenza di almeno 1000 persone (confermata da organizzatori e Questura), 41 tra associazioni, reti, sindacati e realtà organizzate tra i promotori (a cui si sommano le decine di adesioni dei territori di Cantù, Erba e Mariano Comense), 9 Amministrazioni comunali aderenti (Comune di Casnate con Bernate, di Cucciago, di Fino Mornasco, di Lambrugo, di Lipomo, di Lurago d’Erba, di Lurate Caccivio, di Olgiate Comasco, di Senna Comasco), centinaia di euro raccolti per la campagna Seminare Pace a sostegno dei disertori israeliani e dei nonviolenti palestinesi (il computo esatto verrà puntualmente reso pubblico al termine della raccolta), decine di striscioni, cartelli, volantini, adesivi e slogan che hanno declinato in vari modi un unico orizzonte contrario alla guerra e a tutto ciò che la rende possibile (forze armate, industria bellica, alleanze militari più o meno aggressive, armi, basi e servitù militari, poligoni,…).
È incredibile che buona parte (non la totalità, per fortuna: ci sono eccezioni meritorie. Anche se, appunto, eccezioni) delle testate giornalistiche locali non abbiano fornito alla cittadinanza una corretta informazione sull’iniziativa. Ammettendo che sia normale la pratica, largamente diffusa, di non illustrare le ragioni e la piattaforma (non certo tenuta nascosta, e comunque facilmente reperibile anche online) di una manifestazione politica, che nemmeno si riportino correttamente, per dovere di cronaca, i fatti essenziali che hanno caratterizzato la giornata (come, appunto, i relatori effettivamente intervenuti) e che il massimo dell’analisi dell’iniziativa riguardi l’impatto che essa ha o non ha avuto sul traffico veicolare è davvero imbarazzante. Pensare che il pacifismo nazionale e internazionale si preoccupa di problemi seri, come i legami tra industria bellica e media, mentre da noi sembra tanto chiedere che si rispetti l’abc professionale. Quando il saggio indica il mondo che brucia, lo stolto guarda al traffico. E/o al calcio Como. «In piedi, guerrieri!» e buona Apocalisse a tutti.
La Marcia è un appuntamento che si è soliti definire “tradizionale” («la tradizionale Marcia della Pace di Como», per la precisione), anche se è solo da pochi anni, grazie, in particolare, allo stimolo della Parrocchia di Rebbio, che l’iniziativa ha ritrovato una certa regolarità, mentre altrove — basti l’esempio dei vicini territori di Cantù e di Mariano Comense — la Marcia della Pace di gennaio, Mese della Pace, ha una storia decennale ininterrotta. Inoltre è solo dall’edizione del 2019, con una trasformazione radicale della proposta politica e organizzativa, voluta dagli stessi promotori, che la Marcia di Como ha assunto le caratteristiche che forse con troppa fretta consideriamo tradizionali, quando scontate non lo sono affatto: ampia convergenza valoriale e pratica di forze confessionali e laiche, occasione di coinvolgimento e responsabilizzazione delle istituzioni di prossimità, come le Amministrazioni comunali, culmine di un calendario di iniziative e, al contempo, propulsore di uno scenario nuovo e rinnovato, nella misura in cui dalla Marcia della Pace — indipendentemente dalla partecipazione, indipendentemente dalla ricezione dell’opinione pubblica, indipendentemente dalla fatica e dall’umore con cui si torna a casa — nascono passioni forti, speranze ed entusiasmi, si rinvigoriscono idee «antiche come le montagne» per dirla con Gandhi, ma ancora attuali.
La Marcia della Pace di Como è dunque da qualche tempo la concretizzazione di un percorso di cucitura paziente di punti di vista, bisogni, aspirazioni, persino deliri diversi. Di riunioni notturne, di esperimenti più o meno ponderati, di un confronto impegnativo e sfidante, di relazioni umanamente arricchenti. Una palestra dove misurare la propria convinzione nel primato del dialogo e la bontà delle proprie idee.
Al contempo, la Marcia è, potremmo dire, movimento e del movimento. Al netto delle adesioni dell’ultimo secondo, che spesso restano solo sulla carta, al netto dei passanti che si aggregano al corteo con un generico e superficiale interesse, la Marcia della Pace è fatta anche da persone autoconvocate. Da persone e da gruppi che sentono di poter condividere, se non addirittura di dover condividere, uno spazio che altri si sono impegnati a tenere aperto, arricchendolo con le proprie prospettive e le proprie esigenze. Ne dobbiamo dedurre che l’assenza o la presenza impalpabile delle comunità etniche residenti a Como, che pure presumibilmente sui conflitti armati nel mondo avrebbero qualcosa da dire, è una sconfitta e uno stimolo per il futuro: questo spazio può e deve divenire ancora più inclusivo. Ad ogni modo, la partecipazione spontanea è la variabile imponderabile che può determinare la riuscita o il fallimento dell’iniziativa, indipendentemente dagli sforzi di chi la organizza. Questa è la ricchezza che i promotori hanno la responsabilità di custodire. Le realtà aderenti tengano bene a mente che oggi nessuna di esse è in grado di mobilitare tali e tante energie agendo in solitaria!
Se non c’è la ricetta matematica della manifestazione perfetta, ciascuno può provare a ipotizzare quali elementi sono risultati decisivi (bel tempo a parte: ovviamente una benedizione!). A me sembra di poterne avanzare almeno due, complementari.
Il primo è la decisione, resa possibile dal Coordinamento comasco per la Pace, di assumere un perimetro politico che prendesse una posizione netta e inequivocabile su alcuni temi ineludibili. Ciò ha determinato una convergenza ampia, ma non ambigua e innaturale. In una piazza che riconosce apertamente la Costituzione della Repubblica italiana non c’è spazio per fascisti, rossobruni, campisti, filoputiniani (quelli veri!), suprematisti bianchi, nazionalisti ucraini e russi, fanatici religiosi, esponenti dell’estremismo arabo o israeliano. In un corteo di nonviolenti non c’è margine per inneggiare alla lotta armata o alla guerra giusta. Alla festa della democrazia sono fuori luogo le forze politiche che si beffano della volontà popolare smantellando le leggi sull’export di armi, come la 185/90, e proseguendo un folle aumento delle spese militari a scapito dello Stato sociale.
Allo stesso tempo, la Marcia non sarebbe stata la stessa se alcune realtà non avessero provato di esprimere senza inibizioni le proprie specifiche posizioni sui temi per cui era garantita libertà di pensiero. Vanno quindi ringraziati, ad esempio, gli amici e le amiche della Caritas diocesana di Como che hanno proposto come relatori Egidia Beretta e don Diego Fognini, figure con storie emblematiche di una modalità di intendere l’impegno per la Pace e non solo. Così come l’Arci di Como e la Rete Como senza frontiere, che hanno caratterizzato la propria presenza in piazza con la solidarietà al popolo Palestinese. Questa scelta palese ha permesso a tante e tanti altri di inserirsi senza disagio in un contesto che, diversamente, non avrebbero probabilmente nemmeno intercettato.
È infine opportuno che la celebrazione degli aspetti più appariscenti della manifestazione o il dibattito tutto interno all’arcipelago delle realtà che l’hanno animata non oscurino le ragioni politiche, i fini per cui si è manifestato. Cessate il fuoco a Gaza, in Libano, in Ucraina, in Sudan, negli altri scenari di guerra dimenticati. Stop al genocidio dei Palestinesi. Boicottaggio, disinvestimento, sanzioni, embargo militare contro lo Stato di Israele. Disarmo nucleare. Opposizione alle banche armate. Denuncia della militarizzazione delle scuole e dell’università da parte delle Forze armate, della Nato, dell’industria bellica. Attuazione della Costituzione Repubblicana, nata dalla Resistenza al nazifascismo, a 80 anni dalla Liberazione. Promozione della nonviolenza attiva come strumento popolare di risoluzione dei conflitti. Sostegno ai nonviolenti e ai disertori, riconosciuti come sorelle, fratelli, complici.
Non c’è dubbio che sia sfuggito alla moltitudine abbruttita dei commentatori livorosi di Facebook, ma domenica 12 gennaio si sono visti sbandierare pochi buoni sentimenti, e tanti propositi e proposte concrete. Con le dissertazioni dei sapientoni e i loro dotti egoismi non pagheremo le spese legali degli obiettori israeliani. Con l’accettazione passiva o la cieca identificazione delle miserie del presente non sposteremo minimamente le politiche commerciali della Teva, azienda farmaceutica israeliana ampiamente implicata nella colonizzazione della Palestina. Con la cittadinanza attiva pare di sì.
[Abramo Francescato, ecoinformazioni]
Foto e video della manifestazione su ecoinformazioni.
Foto di copertina di Alberto Capitanio
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