Il secondo turno delle elezioni presidenziali in Croazia, svoltosi domenica 12 gennaio, ha decretato la nettissima vittoria del Presidente uscente, Zoran Milanović, socialdemocratico, il quale, dopo avere sfiorato la vittoria già al primo turno con il 49,09% dei voti, ha “asfaltato” con il 74,68% l’ex ministro della scienza e dell’istruzione Dragan Primorac, candidato di centro-destra designato dal principale partito di governo, l’HDZ (Unione Democratica Croata), il quale si è fermato al 25,32% dei voti (19,35% al primo turno).
I risultati di queste elezioni confermano una caratteristica tipica del panorama politico croato del dopo-Tudjman: con una sola eccezione, rappresentata dalla vittoria nel 2014 della candidata dell’HDZ, la cattolica Kolinda Grabar-Kitarović, le elezioni presidenziali sono state sempre vinte da candidati di sinistra o liberali, tutti atei o agnostici. Al contrario, le elezioni per il Parlamento hanno sempre portato alla formazione di governi di centro-destra, con la vittoria della sinistra solamente in due situazioni storiche eccezionali – nel 2000 dopo la morte del primo Presidente Franjo Tudjman, e nel 2011 dopo l’arresto del primo ministro dell’HDZ, Ivo Sanader, per gravi reati di corruzione.
La contraddizione è soltanto apparente, e può essere spiegata con il fatto che, sebbene abbia ormai da decenni esaurito il proprio compito storico di anima dell’indipendenza croata e di punto di aggregazione della stragrande maggioranza dell’elettorato cattolico, nelle elezioni per il Parlamento l’HDZ sfrutta al massimo la sua capillare organizzazione di partito, e raccoglie moltissimi consensi grazie a una fittissima rete di malaffare, clientelismo e corruzione con la quale occupa tutti i gangli vitali dello Stato a livello nazionale e locale.
Alle elezioni presidenziali, invece, la sinistra si presenta quasi sempre unita e sfrutta le spaccature tra il centro (HDZ) e la miriade di partitini di destra e sovranisti, spesso in conflitto anche tra loro, la quasi totalità dei quali si oppone radicalmente al partito di governo, che non è in grado di presentare una personalità vincente che possa unire centro e destra e sappia conquistare la Presidenza della Repubblica.
Pur tenendo conto di queste circostanze, la sconfitta di Primorac e dell’HDZ in queste elezioni rappresenta una disfatta senza precedenti per l’HDZ, anche per il fatto che Milanović, con tutta probabilità, ha ottenuto molti voti anche dagli elettori di centro e di destra, che in questo modo hanno lanciato l’ennesimo segnale di forte insoddisfazione verso l’HDZ e il suo sistema di corruzione. Al di là della scarsa affluenza alle urne (il 46% al primo turno e il 44% nel secondo), infatti, non può spiegarsi diversamente il fatto che Milanović nel primo turno delle presidenziali abbia perfino raddoppiato (e più che triplicato se consideriamo i voti ottenuti al secondo turno) i voti che nello scorso aprile aveva ottenuto l’SDP (Partito Socialdemocratico della Croazia), il suo partito, del quale egli era ufficiosamente il candidato premier, mentre Dragan Primorac ha ottenuto solamente al primo turno delle presidenziali circa la metà dei voti che la coalizione che lo appoggiava aveva ottenuto solo otto mesi fa alle elezioni politiche.
Da una prospettiva cattolica Milanović rappresenta tutt’altro che un candidato ideale – non solo perché ateo, ma anche e soprattutto perché non si può dimenticare che durante il suo mandato di primo ministro dal 2011 al 2016 impose una legge sulla fecondazione assistita tra le più liberali in Europa, e cercò di imporre l’ideologia gender nelle scuole. Tuttavia, nonostante i suoi leader siano tutti cattolici praticanti, l’HDZ ormai non rappresenta più una prospettiva migliore, non solo per il sistema di malaffare con il quale governa il Paese, ma anche perché il primo ministro Plenković l’ha spostata al centro e l’ha portata ad adottare posizioni del tutto laiciste su tutti i temi etici sensibili (ha approvato la Convenzione di Istanbul, ed è favorevole alla libera scelta per aborto ed eutanasia).
Il successo di Milanović presso l’elettorato di centro-destra è dovuto anche alla sua forte opposizione a un eventuale intervento bellico della Croazia in Ucraina e al servilismo del primo ministro ai diktat di Bruxelles, tanto da guadagnarsi l’appellativo, in realtà assai forzato, di “sovranista di sinistra”.
A un Paese come la Croazia, la cui società civile è profondamente divisa e ancora ferita a causa delle stragi ustascia, serbo-cetniche e comuniste durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale, servirebbe una personalità che desse il suo contributo alla riconciliazione nazionale, riconoscendo il male compiuto dal fascismo, dal nazismo, e dal comunismo, e proponendo un cammino comune che porti alla guarigione di queste ferite. Ciò è importante soprattutto quest’anno, a ottant’anni esatti dalla fine del secondo conflitto mondiale, quando a pochi giorni di distanza verranno ricordate da una parte le vittime del campo di concentramento ustascia di Jasenovac, e dall’altra le stragi dei partigiani titini che, in pochi giorni, a Bleiburg e nella cosiddetta “Via Crucis del popolo croato” uccisero a sangue freddo duecentomila persone, che furono poi gettate in foibe o fosse comuni, la quasi totalità delle quali erano innocenti e non coinvolte nei crimini del regime filo-nazista di Ante Pavelić.
Tuttavia, a meno di cambiamenti di posizione improvvisi, Milanović non è la persona adatta a svolgere tale difficile compito, perché il Presidente, da ex comunista, non riconosce alle centinaia di migliaia di persone uccise a sangue freddo dai partigiani lo status di vittime del regime comunista, bensì le continua a ritenere “complici del regime ustascia”, e quindi non meritevoli di pietà. Inoltre, cinque anni di durissime polemiche, spesso con un linguaggio da osteria, nei confronti dei rappresentanti delle istituzioni della Repubblica di Croazia, fanno del Presidente un piromane, e non un pacificatore.
Cinque durissimi anni attendono la Croazia, che non resteranno senza conseguenze e provocheranno un’ulteriore disgregazione delle istituzioni croate, circostanza che avrà le sue conseguenze anche per i rapporti tra le varie etnie nel complesso scacchiere balcanico.
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