Con Musk il concetto di futuro diventa di destra. La sinistra sa solo resistere

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Reazionari e progressisti: i primi mirano a conservare e restaurare il passato, i secondi guardano al futuro – i primi sono di destra e i secondi di sinistra. Tutto semplice, ma poi non è mai stato semplice affatto. Certo, il “sol dell’avvenire” è una formula di marca marxista, utilizzata dal Garibaldi “socialista” dei suoi ultimi anni e finita poi nella più famosa canzone partigiana, Fischia il vento e infuria la bufera; era nell’emblema dell’Unione Sovietica e sulle tessere di vari partiti di sinistra.

Dagli illuministi in poi, il cammino del progresso veniva visto come una marcia più o meno uniforme verso un futuro libero dagli errori del passato. Ma già nel 1921 Walter Benjamin interpretava un disegno di Klee come «l’angelo della Storia», un Angelus Novus che andava sì verso il futuro, sospinto da un vento irresistibile, ma ci andava con la testa rivolta all’indietro e lasciandosi alle spalle una distesa di rovine.

«Non ci sono più i futuri di una volta» scrisse più o meno con queste parole Paul Valéry nel 1931, e il disilluso aforisma è diventato un tormentone comico. La locomotiva, per il giovane Carducci mangiapreti, era il veicolo di Satana benemerito che buttava per aria la vecchia religione, per Guccini ancora è stata la speranza in una giustizia proletaria, che però finisce col macchinista anarchico suicida su un binario morto. Futuro come mistero e nostalgia.

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L’ambiguità del futuro

“Futuro” in realtà è una parola politicamente ambigua; Gramsci a Mosca fu colpito quando Lunačiarskj gli disse, in buon italiano, che in Italia esisteva un movimento rivoluzionario e che si chiamava “Futurismo”. Movimento per il quale Gramsci stesso ebbe una iniziale simpatia, contro la melensaggine e la pigrizia borghese, ma Filippo Tommaso Marinetti nel 1925 firmò il Manifesto degli intellettuali fascisti.

Nel 1930 si suicidò Majakovskij, per amore ma in urto col regime staliniano. Molti autoritarismi totalitari sono nati come rivoluzioni, vere o sedicenti: qualcuna è finita tradendo le speranze internazionali di operai e contadini, qualcun’altra realizzando invece le speranze nazionaliste di industriali e proprietari terrieri.

Anche il termine “novità” (strettamente collegato all’idea di futuro) è politicamente ambiguo. Se in Dante la «gente nuova» ha corrotto Firenze portando una smania di soldi guadagnati in fretta e spingendo le donne all’immoralità, se nei Rusteghi di Goldoni le novità che vengono dai “foresti” sono detestate dai vecchi e ambite dai giovani, il solito Gramsci chiama Ordine nuovo la rivista fondata nel 1919 insieme a Togliatti e Terracini.

Ma Ordine Nuovo è anche il nome del noto movimento di estrema destra extraparlamentare nato nel 1969. Il Maggio parigino del 1968 è all’insegna del futuro (“dopo Marx, aprile”); i vecchi venivano sprezzantemente chiamati Pph (acronimo di “passe pas l’hiver”, costui non passa l’inverno).

Ci fu chi cercò di coniugare novità e tradizione: Carlo Levi intitolò Il futuro ha un cuore antico il suo reportage di viaggio in Unione Sovietica, compiuto nel 1955 (pochi mesi prima del cruciale ’56, quando la sua idea di una Russia custode delle memorie della “Europa unita” avrebbe subito un colpo irrimediabile). Gershom Scholem ha sempre legato la sua speranza messianica allo studio dell’antica Kabbalah, mettendo in discussione la linearità del “progresso”.

Musk, il progressista di destra

Ora questa ambiguità del futuro è arrivata a un nodo di tensione che porta un nome preciso: Elon Musk. Il genio visionario che ha intuito prima degli altri le potenzialità di tante cose, dalle auto elettriche allo spazio, dai pagamenti online alle interfacce neurali, avrebbe tutto per piacere alla sinistra: è un cittadino del mondo bullizzato da ragazzo, si preoccupa dell’inquinamento del pianeta, è uno spirito libero con una figlia transgender e una ottenuta con la maternità surrogata, sarà forse il futuro colonizzatore di Marte.

Molti giovani ne sono affascinati, si offrono come cavie per gli esperimenti di Neuralink. Ma Musk è anche l’uomo più ricco del mondo, è amico del prossimo presidente degli Stati Uniti (il sovranista Donald Trump) che gli ha affidato la conduzione di un organo para-governativo di consulenza, possiede un diffuso social su cui si diverte a esprimere pareri di grande approvazione per formazioni politiche di estrema destra, talvolta apertamente vicine al nazismo, e a sbeffeggiare i democratici e i liberali in giro per l’orbe terracqueo, è stato invitato ad Atreju da Giorgia Meloni.

Ha aiutato ora il nostro governo a liberare una giornalista ostaggio in Iran, come imprenditore è in grado di fornire all’Italia la prodigiosa costellazione di satelliti in orbita terrestre bassa denominata Starlink, che garantisce l’accesso alla banda larga in ogni paesino sperduto e potrebbe svolgere essenziali funzioni in ambito militare.

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Con lui, l’utopia futuribile si è schierata a destra e la destra ne sta facendo una bandiera; per la sinistra si è aperto un problema di posizionamento. La ricchezza di Musk non sarebbe un ostacolo, sono anni che la sinistra si appoggia a miliardari soprattutto americani, ex giovani radical vestiti casual che sono diventati monopolisti in settori come la finanza, la comunicazione e i big data.

D’altronde, chi ha più bisogno di futuro di un imprenditore capitalista? La sinistra non ha trovato alternative al capitalismo se non palliativi benintenzionati, la parola rivoluzione è ormai impronunciabile anche per lei. È vero che i capitalisti a sinistra non hanno in genere incarichi palesemente politici né migliaia di satelliti in orbita, ma anche loro, finita la scapigliatura giovanile, non possono che adeguarsi a una prospettiva concretamente oligarchica delle strutture statuali.

La sinistra è stata timida con la tecnologia, non può fregiarsi di alcuna utopia tecnologica; parla della marea, onda, vento di destra, come se fosse un fenomeno naturale. Mentre il verbo preferito dal futuro di destra è conquistare (il cielo, nuovi territori, l’egemonia), i verbi del futuro di sinistra sono resistere, ripristinare, difendere (lo stato sociale, la distinzione tra i poteri, la sanità, la democrazia). È costretta in difesa perché per troppo tempo ha creduto che il più fosse fatto, che il Potere si potesse addomesticare con le riforme e si potesse tentare la fuga in avanti, andando a snidare le pieghe del Potere fin nell’inconscio.

L’utopia di sinistra è diventata introspettiva, auto-cannibalizzante; ha analizzato se stessa e i suoi peccati, decostruendo le verità stereotipe, chiedendo la depavimentazione delle città, il terremoto nel vocabolario – dividendosi alla ricerca delle posizioni più immacolate e prendendo le parti delle porzioni più infinitesime di cittadinanza. (Piccolo episodio recente: a Modena, davanti al Policlinico, un gruppo di femministe si è riunito per protestare contro una preghiera dei Pro-Vita rivolta alla salvezza dei bambini mai nati, e per affermare che l’aborto deve essere un diritto di tutte le donne; un gruppo più moderno di altre femministe si è opposto sostenendo che si doveva dire «un diritto di tutte le persone», non escludendo i transgender F to M che avessero bisogno o intenzione di abortire).

L’ansia di giustizia infinita fa dimenticare che forse, in un futuro nemmeno troppo lontano, si dovrà lottare per diritti assai più primitivi ed elementari. «Gettare il proprio corpo nella lotta»: il vecchio slogan del Black Power preso in prestito da Pasolini viene citato principalmente da chi (giustamente) lo applica alla trasformazione del proprio corpo. Tutto giusto, ma anche terribilmente tutto difficile; è così che la sinistra si è trovata a essere la sinistra degli intellettuali, cioè di una minoranza, e ha lasciato alla destra l’esaltazione degli aspetti più esterni e vistosi della democrazia («il popolo che vota ha sempre ragione»).

Se Martin Luther King, come hanno sostenuto alcuni pensatori radicali post-coloniali, è stato razzista senza saperlo, allora perché non asserire che Hitler era comunista (come ha detto, intervistata su X proprio da Musk, Alice Weidel leader della Afd) – se vale tutto, penserà la maggioranza stordita dei consumatori di social, tanto vale fidarsi di chi ci porterà su Marte.

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