Povertà, precarietà e invisibilità: la storia di Francesca P. | by Mario Flavio Benini | Jan, 2025

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A gennaio, Francesca P. ha compiuto 46 anni. Francesca vive a Roma e mi ha raccontato la sua drammatica esperienza: sopravvivere con meno di 12.000 euro l’anno. Una condizione di estrema precarietà, unita a un mix di affitti inaccessibili, coinquilini incompatibili, salari non dignitosi e l’incapacità di trovare un lavoro a tempo pieno, l’ha portata a vivere tre episodi come senzatetto negli ultimi anni. Ha dormito nella sua vecchia auto, e mi ha raccontato che tra pochi giorni, per la quarta volta, dovrà affrontare la stessa situazione.

Francesca è nata in una famiglia della classe media, ma ha vissuto vicino alla soglia di povertà per tutta la sua vita adulta. Il suo lavoro, composto principalmente da ruoli amministrativi per aziende private ed enti pubblici, è stato quasi sempre svolto con contratti a tempo determinato. Questi contratti, pur offrendo maggiore flessibilità rispetto a un impiego stabile, purtroppo non le hanno mai garantito nessuna sicurezza economica.

La trappola della povertà.
Durante i suoi primi anni lavorativi, Francesca aveva iniziato a frequentare l’Università, pagando le tasse con i pochi risparmi accumulati grazie al lavoro. Tuttavia, ha dovuto interrompere gli studi perché non poteva permettersi le spese e non voleva contrarre debiti. I suoi risparmi, già modesti, sono stati progressivamente erosi negli anni da spese mediche che il sistema sanitario nazionale per problemi legati ai tempi di risposta, non riusciva a coprire. Negli ultimi anni, la ricerca di un lavoro a tempo pieno che le permettesse di mantenersi è diventata un incubo. Ora, Francesca, avvicinandosi ai 50 anni, si sente esclusa da un mercato del lavoro che sembra non darle più nessuno spazio.

Tre volte negli ultimi quattro anni, Francesca è stata costretta a vivere nella sua vecchia auto, una vecchia Panda con oltre 400.000 chilometri percorsi. Ogni volta il problema è che non riusciva a trovare un alloggio accessibile o un lavoro che le garantisse un reddito dignitoso. La sua situazione riflette quella di molte donne single in Italia: non avendo figli, non ha priorità nelle graduatorie per l’assegnazione di case popolari o per altri tipi di assistenza pubblica. Senza una rete familiare su cui contare, Francesca ha dovuto affrontare tutto da sola.

Francesca non avrebbe mai immaginato che la condizione come senzatetto potesse capitare a lei, figuriamoci tre volte.

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La crisi abitativa.
La prima volta che è rimasta senza casa è stato durante un inverno particolarmente rigido, alcuni anni fa, quando ha perso il lavoro. Con soli 200 euro in tasca, è stata costretta a vivere in auto insieme al suo gatto, affrontando le notti gelide senza alcun riscaldamento. Una notte di dicembre, si è svegliata trovando accanto a lei la ciotola d’acqua del suo gatto completamente congelata.

La seconda volta è accaduta durante l’estate. In quel periodo Francesca lavorava part-time per un piccolo comune, mentre attendeva la possibilità di un contratto a tempo pieno. Il suo coinquilino le ha chiesto di lasciare la stanza per far spazio a un familiare, e con 1.000 euro in banca non riusciva a trovare un’altra soluzione abitativa accessibile. Ancora una volta, è stata costretta a vivere in auto con il gatto. Per sfuggire al caldo insopportabile di Roma, si è trasferita dalle parti di Maccarese, dove sperava di trovare un clima più mite e migliori opportunità. Tuttavia, lì è stata continuamente molestata dalle autorità locali, che applicano politiche sempre più rigide contro le persone senza fissa dimora. Dopo una settimana di difficoltà, Francesca è riuscita a trovare su Subito.it una nuova abitazione e un nuovo coinquilino, ma poco tempo dopo ha perso il lavoro. Quando ha chiesto un aumento di stipendio, la risposta è stata un incremento di pochi centesimi l’ora, seguito dal licenziamento con la motivazione: “Non vogliamo che tu stia qui se non sei felice”.

Il terzo episodio si è verificato l’estate scorsa. Francesca, che aveva nuovamente accumulato quasi 1.000 euro di risparmi, ha perso un altro lavoro part-time a bassa paga. Contemporaneamente, il suo coinquilino ha smesso di pagare le bollette, costringendola a trasferirsi a Bergamo. Ha trascorso le giornate in un parco pubblico, sfruttando il wifi gratuito per cercare lavoro online e utilizzando le docce pubbliche economiche. Le notti le trascorreva nella sua auto, parcheggiata in strade residenziali o in zone industriali.

Tra pochi giorni, Francesca dovrà affrontare un’altra crisi.
Il proprietario della casa in cui viveva ha deciso di vendere l’immobile, lasciandola senza un posto dove andare. Nonostante i suoi sforzi, non è riuscita a trovare un’altra soluzione abitativa accessibile. Con i risparmi, accumulato con enormi sacrifici, Francesca non può permettersi i costi iniziali di un nuovo affitto. Questi risparmi sono stati possibili solo grazie alla modesta somma di RDI, e con la chiusura anticipata del suo fondo pensionistico integrativo.

Lavori precari e salari indegni.
Nove passi nel sistema della povertà.
Francesca rappresenta un esempio di come, in un sistema che non garantisce una rete di sicurezza, si possa cadere dalla scala economica senza possibilità di risalire.

1. La povertà è costosa.
Più a lungo si vive in una condizione di precarietà o senza una casa stabile, più le spese quotidiane prosciugano i risparmi. Francesca P. ha sperimentato come costi apparentemente piccoli possano accumularsi rapidamente: carburante, assicurazione auto, lavanderie automatiche, abbonamenti per il telefono o ingressi a centri pubblici per fare la doccia. Senza un’assicurazione per l’auto, la sua vettura rischiava costantemente multe o il sequestro. Durante i mesi estivi, con il prezzo del carburante che in Italia sfiora i 2 euro al litro, spostarsi per cercare un posto sicuro dove parcheggiare la notte o per raggiungere un colloquio di lavoro può rapidamente consumare quel poco che rimane. Le lavanderie automatiche, costose e rare, diventano una spesa inevitabile, così come i piccoli depositi per conservare gli effetti personali che non trovano posto nell’auto.

Essere poveri richiede un controllo minuzioso di ogni euro. Avere delle carte di credito non è un’opzione per chi, come Francesca, è disoccupata o ha redditi troppo bassi. Questo significa che anche una semplice emergenza, come una riparazione all’auto, può trasformarsi in una crisi insormontabile. Mentre una persona con accesso al credito risolverebbe il problema in pochi minuti, per Francesca una spesa imprevista può riportarla in una condizione di instabilità totale. Uscire dalla povertà è molto più difficile che entrarci.

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2. Le persone pensano che essere poveri o senza casa significhi essere pigri o poco istruiti.
Secondo Francesca, uno dei pregiudizi più diffusi è che chi vive in povertà lo faccia per mancanza di volontà o di istruzione. La realtà, però, è ben diversa. In Italia, molte persone con un diploma o persino una laurea svolgono lavori mal pagati e precari. Dopo la crisi economica, molti lavoratori più anziani si sono ritrovati costretti ad accettare posizioni per le quali erano sovraqualificati, con stipendi notevolmente inferiori rispetto al passato. I programmi di riqualificazione professionale offerti dal governo spesso si concentrano su settori tecnici, come operatore OSS, operatore informatico, che offrono stipendi di poco superiori al minimo salariale ma non sufficienti per vivere dignitosamente in una grande città.

Francesca sottolinea che non voler accettare lavori sottopagati e precari non rende di per se una persona pigra, ma evidenzia piuttosto l’ingiustizia del sistema economico. La colpa della povertà non è mai individuale, ma strutturale. Tuttavia, molte persone credono ancora che chi vive in difficoltà lo faccia per “scelte sbagliate”, anziché riconoscere il fallimento di un sistema che non garantisce salari adeguati o alloggi accessibili.
Su questo tema Alberto Prunetti, ha scritto un libro magnifico, “ Non è un pranzo di gala “ raccontando le storie di lavoratori della Working Class che attraverso la scrittura hanno saputo descrivere dall’interno le “falle del sistema”.

3. La mancanza di case a prezzi accessibili è una delle principali cause della precarietà abitativa.
In Italia, il problema dell’accesso agli alloggi è esploso dopo la crisi economica del 2008, quando molte famiglie che non potevano più permettersi un mutuo sono passate al già limitato mercato degli affitti. Questo aumento della domanda ha reso gli affitti sempre più cari, con un conseguente aumento della precarietà per le famiglie a basso reddito. Tra il 2010 e il 2020, il numero di affittuari è cresciuto notevolmente, specialmente nelle grandi città e nei centri urbani del nord, come Milano, Torino, e nelle città maggiormente frequentate dal turismo come Venezia, Firenze e Roma, dove i costi per gli affitti sono saliti più rapidamente rispetto ai redditi.

In molte regioni italiane, soprattutto quelle più urbanizzate, la costruzione di nuovi alloggi popolari non è riuscita a tenere il passo con la domanda crescente. Francesca racconta che gli affitti in città come la sua sono così alti da rendere impossibile per una persona con un reddito basso o medio trovare un appartamento dignitoso. Inoltre, molte famiglie rimangono bloccate in una costante situazione di precarietà abitativa, non potendo permettersi di acquistare una casa a causa di salari stagnanti e di un accesso al credito limitato.

4. La mancanza di un salario dignitoso significa non potersi permettere una casa.
Dal 2000, in Italia, il costo degli affitti è cresciuto quasi il doppio rispetto agli stipendi medi, come abbiamo discusso la disparità è particolarmente evidente in città come Roma. Francesca spiega che anche chi lavora a tempo pieno spesso non riesce a coprire le spese per un alloggio, soprattutto se si considerano i costi aggiuntivi, come le utenze.

Il salario minimo legale, una misura ancora assente in Italia, potrebbe alleviare questa situazione, ma molti datori di lavoro continuano a offrire stipendi insufficienti e contratti precari o in nero, che non permettono di fronteggiare il costo della vita. Francesca sottolinea che, se gli stipendi fossero aumentati proporzionalmente alla produttività, oggi i lavoratori come lei guadagnerebbero abbastanza per vivere dignitosamente. Tuttavia, il mancato adeguamento ha creato un divario crescente tra il costo della vita e i redditi, lasciando sempre più persone intrappolate in una condizione di povertà abitativa.

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5. I guadagni non arrivano ai lavoratori.
In passato, i guadagni di produttività in qualche modo erano legati all’aumento dei salari, ma oggi finiscono nelle tasche di amministratori delegati e azionisti. Francesca mi dice che per come la vede lei in Italia, questa situazione è aggravata da politiche commerciali sfavorevoli ai lavoratori, dall’indebolimento dei sindacati e dalla crescente concorrenza globale. Il costo della vita aumenta costantemente, lasciando le persone a lottare per sbarcare il lunario.

La maggior parte dei lavori creati dopo la crisi economica si trova in settori a basso salario, con molti contratti precari che offrono retribuzioni lontane dal permettere una vita dignitosa. Ad esempio, ruoli amministrativi come quelli che svolgeva lei, che nel 2000 le garantivano stipendi di 1.200–1.500 euro al mese oggi offrono poco più di 800–900 euro, spesso senza benefici, ferie pagate o permessi per malattia. Se non lavori, non vieni pagato, punto.

Un lavoro a tempo pieno al salario minimo, che in Italia non è ancora regolamentato, non è sufficiente per superare la soglia di povertà, figuriamoci per coprire un affitto. Sebbene alcuni sostengano che un aumento del salario minimo potrebbe scoraggiare le assunzioni, molte ricerche dimostrano che una buona parte dei lavoratori a basso salario è impiegata da grandi aziende, spesso molto profittevoli. Tuttavia, quei guadagni vanno agli azionisti, non ai dipendenti.

Inoltre, molte aziende preferiscono non assumere lavoratori più anziani o con qualifiche superiori, ritenendoli troppo costosi o convinti che cercheranno presto una posizione migliore. Senza salari adeguati, i lavoratori rimangono bloccati in un ciclo di povertà e dipendenza da assistenza pubblica sempre più inesistente, spesso incolpati per la loro situazione.

6. Gli ostacoli alla locazione.
In Italia, i costi degli affitti sono proibitivi. Più della metà degli affittuari spende oltre il 30% del proprio reddito per pagare un alloggio, e in alcune città, come Milano e Roma, le cifre sono ancora più alte. Molti proprietari richiedono che l’inquilino dimostri un reddito tre volte superiore all’affitto. Per Francesca P., ciò significa che affittare un appartamento da 800 euro richiederebbe un reddito netto di almeno 2.400 euro al mese — una cifra irraggiungibile con lavori precari.

Alcuni annunci chiedono persino un deposito equivalente a diverse mensilità, portando i costi iniziali di trasferimento ben oltre i 3.000 euro, molto più di quanto Francesca sia mai riuscita a risparmiare. Anche quando lavorava a tempo pieno, con stipendi di circa 1.200 euro, non avrebbe potuto soddisfare nessuna di queste richieste.

I proprietari, inoltre, non considerano fattori come una buona storia creditizia o assenza di debiti: se sei disoccupato o hai un passato da senzatetto, sei automaticamente escluso.
È praticamente impossibile dichiarare di essere stato senza casa o aver avuto una residenza fittizia, poiché i senzatetto subiscono uno stigma, un forte discriminazione (o come la chiama Adela Cortina “ Aporofobia “), sia da parte dei proprietari sia dai datori di lavoro.

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7. L’indifferenza politica.
I politici tendono a ignorare la condizione dei poveri, spesso perché non rappresentano un elettorato influente. Le persone in difficoltà, occupate a sopravvivere giorno per giorno, non hanno il tempo né le risorse per far sentire la loro voce.

Ne abbiamo parlato già in altri post “ La sfida della povertà estrema: ripartire dalle fondamenta del bene comune” e “ AI e lotta alla povertà estrema “ le politiche pubbliche spesso si concentrano su interventi emergenziali, come la gestione dei senzatetto attraverso dormitori e centri di accoglienza temporanea, piuttosto che su soluzioni strutturali come la creazione di alloggi popolari o l’introduzione di un salario minimo dignitoso.

8. La convivenza: una soluzione difficile.
Condividere un appartamento con coinquilini potrebbe sembrare la soluzione più rapida e accessibile per sfuggire alla precarietà, ma Francesca racconta che spesso si tratta di un’alternativa complicata. Non una, ma due volte le è stato proposto di vivere in case sporche, con mobili infestati da parassiti, per una cifra comunque elevata. Alla fine, ha preferito rimanere nella sua macchina.

Inoltre, convivere in età adulta è molto diverso rispetto a farlo da studenti. I coinquilini possono essere inaffidabili o problematici. Francesca ha ricevuto offerte inappropriate, come “affitti in cambio di favori”, e si è trovata a vivere con persone che abusavano di alcol o droghe. In un caso, un coinquilino ha smesso di pagare le bollette; in un altro, una coppia in pensione frugava tra i suoi effetti personali mentre era al lavoro. La precarietà della convivenza spesso non offre alcuna garanzia: un coinquilino può sfrattarti con poco preavviso, lasciandoti di nuovo per strada.

9. La società vuole che i senzatetto siano invisibili.
In Italia, come altrove, la presenza dei senzatetto è percepita come un fastidio. Spesso, le autorità locali impongono regolamenti che rendono difficile anche solo dormire in un’auto o trascorrere del tempo nei parchi pubblici. Francesca racconta che cercare di mantenere un profilo basso è estenuante: parcheggiare in zone residenziali senza essere notata, lavarsi nei bagni pubblici, mantenere l’auto funzionante, tutto mentre cerca un lavoro.

Vivere in un’auto offre una protezione minima rispetto alla strada, ma non è affatto sicuro. Le donne, in particolare, sono esposte a maggiori rischi di violenza.
Il messaggio della società è chiaro: se non hai soldi, non hai valore. Questo perpetua un sistema che non solo ignora i poveri, ma li condanna a una lotta quotidiana per soddisfare i bisogni fondamentali. Per Francesca, questa non è vita, ma sopravvivenza, ed è profondamente ingiusta.



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