Missione di Speranza e Carità
II Anniversario del transito di Fratel Biagio Conte
Chiesa “Casa di preghiera per tutti i popoli”
12 gennaio 2025
Festa del Battesimo del Signore
Omelia
«Parlate al cuore di Gerusalemme. Sali su un alto monte, tu che annunci liete notizie a Sion!» (Is 40,2.9).
Fratel Biagio nei suoi giorni terreni ha parlato, ha gridato ai nostri cuori. Ancora oggi, la sua è una voce che continua a risuonare imperterrita, nonostante una rumorosa ostentata sordità, a volte, sembra metterla a tacere. La sua voce continuerà a risuonare, nessuno la potrà soffocare, tantomeno edulcorare o strumentalizzare. Voce che vuole continuare a parlare alla Città, alla Chiesa, alla Missione di speranza e carità. Voce che deve continuare la sua corsa. Arrivare al cuore. Scuotere. Vagliare, provocare, scuotere, indirizzare. La sua voce, il suo grido, ci hanno aiutato a vedere ciò che non sappiamo o non vogliamo vedere. E devono continuare a farlo! Come quella del profeta la sua parola è stabile, salda, certa. Ora Biagio parla ancora di più con il suo silenzio che narra tutta la sua vita.
«Sali su un alto monte» (Is 40,9), annuncia l’anonimo profeta che proclama la fine dell’esilio babilonese. Biagio era solito salire sul monte. Si ritirava a pregare. Come spesso faceva Gesù, quando i Vangeli annotano: «si ritirò (anekóresen) di nuovo sulla montagna, tutto solo» (Gv 6,15; cfr Mc 1,35; Mt 14,13). Era un anacoreta, amava l’eremo, appartarsi a dialogare con Dio Padre. Pregava a lungo. Io per primo – come tanti di voi – ne sono testimone. Da lì guardava la Città e in essa la Chiesa; gli uomini che guidano la Polis e la comunità cristiana in essa. Le attese e le ferite della gente, dei reietti e dei poveri. Da lì tutto nasceva, tutto faceva, da questo incontro in locum desertum. Da lì scendeva in Città. La scuoteva. La metteva in guardia e la ‘curava’ dalle logiche mondane di potere, ponendo in essa i segni della Signoria salvifica di Dio creatore e redentore. Da lì pellegrinava con il segno della croce – misura dell’amore di Dio per ogni uomo e ogni donna –, fino a raggiungere regioni e terre lontane.
Lo sguardo e la voce di Biagio riflettevano lo sguardo e la voce di Dio. A me Vescovo di questa Chiesa che Biagio ha amato con tutto sé stesso, a me che ho avuto consuetudine di incontro e di dialogo con lui come pastore, fratello e amico, il compito di dire oggi con franchezza, in questa ricorrenza del secondo anno del suo transito, che se ‘laicizziamo’ Biagio, se lo costringiamo cinicamente entro visioni ed etichette di parte, perdiamo la comprensione profonda del suo volto, delle sue parole, dei suoi gesti e della sua opera. Lo travisiamo e lo tradiamo. E non ce lo possiamo permettere. Non lo dobbiamo permettere a nessuno. Non possiamo vanificare il dono fatto alla nostra Città e alla nostra Chiesa. Al mondo e alla Chiesa interi.
Biagio è un uomo cristificato. Dopo la svolta della sua vita, la coscienza del suo battesimo lo ha cambiato, trasformato. La vita di Fratel Biagio è racchiusa in questo versetto della lettera ai Galati di S. Paolo Apostolo: «Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me» (Gal 2,20). Risiede qui il motivo per cui Biagio è stato anche attratto – sedotto – dalla figura del Santo Poverello di Assisi. La scoperta di essere un figlio amato nella venuta al mondo della grazia di Dio, nella persona di Gesù Cristo, manifestazione storica della bontà di Dio, fonte da cui i credenti attingono forza per vivere in questo mondo come Cristo, nell’attesa del compimento del Regno (cfr Tt 2,11-13). La riscoperta della ricchezza contenuta nel Battesimo e nella Cresima che Biagio ricevette, rispettivamente, nella nostra chiesa Cattedrale, all’inizio della sua vita, e a S. Martino delle Scale, nella prima adolescenza. La fede cristiana. La fede della Chiesa. È questo il tesoro inestimabile – spiritualmente ed umanamente – ereditato da tutti i battezzati e le battezzate in Cristo. Sono questi i doni teologali che riversa in noi la rigenerazione battesimale: la fede, la speranza e la carità.
È la fede che ha guidato Fratel Biagio. La speranza gli ha dato sguardo profondo, lungimirante e audace. La carità lo ha infiammato d’amore creativo e concreto verso i piccoli, i poveri, i diseredati, gli oppressi, i respinti. La Missione voluta e realizzata da Biagio – con le sue diverse opere –, ha una chiara impronta teologale ed ecclesiale, già nella denominazione che ha scelto: Missione di speranza e carità.
È la fede in Gesù Cristo – il Messia venuto a battezzare in Spirito santo ma sceso al Giordano insieme ai peccatori a ricevere il battesimo con acqua (cfr Lc 3,15-16.21-22) –, è la fede della Chiesa, che ha portato Fratel Biagio a seminare ovunque speranza e carità! Il senso della fede e della Chiesa – il sensus fidei et Ecclesiae – che lo ha portato ad un intenso, sentito e fedele attaccamento ai suoi Arcivescovi: Salvatore, Salvatore, Paolo, Corrado, e ad una costante partecipazione alla vita liturgica e pastorale dell’Arcidiocesi. Come non ricordare il suo grande amore per papa Francesco che ebbe la gioia di accogliere proprio qui in questa chiesa “Casa di preghiera per tutti popoli”?
La fede cristiana in ogni battezzato consapevole del dono di grazia ricevuto, ‘divinizza’ l’essere umano, fa compiere le opere di Dio, le opere messianiche: annunziare la lieta notizia ai poveri, proclamare la misericordia di Dio a quanti sono sopraffatti dal peccato, sciogliere le catene degli oppressi, dare da mangiare agli affamati e da bere agli assetati, ospitare i migranti e i forestieri, vestire chi è nudo, visitare chi è malato, andare a trovare chi è in carcere (cfr Mt 25,31-46).
Come risuonano oggi attuali e foriere di consolazione le parole dell’orante del Salmo responsoriale: «Tutti da te aspettano che tu dia loro cibo a tempo opportuno. Tu lo provvedi, essi lo raccolgono; apri la tua mano, si saziano di beni» (Sal 103,27). E nella lettera a Tito, Paolo Apostolo ci ha appena ricordato: «Egli ci ha salvati, non per opere giuste da noi compiute, ma per la sua misericordia mediante un lavacro di rigenerazione e di rinnovamento nello Spirito Santo affinché, giustificati per la sua grazia, diventassimo, nella speranza, eredi della vita eterna» (Tt 3,5.7).
Come Giovanni, Fratel Biagio non ha annunziato se stesso, non si è messo in mostra, non ha legato il popolo a lui. Era ben lontano da ogni forma di autoreferenzialità. È stato ‘voce’ di un Altro, ‘amico’ dello Sposo atteso da Sion, dell’unico Messia, del Cristo. La grandezza di Biagio è in queste parole del Battista: «Viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali» (Lc 3,16).
Tutto quello che ha fatto lo ha fatto così. Con umiltà, senza assolutizzare se stesso e le opere da lui realizzate. Conservando una grande libertà da ogni condizionamento interiore ed esteriore. Rimanendo sempre umile discepolo del suo Signore. Figlio della Chiesa segno del Regno di Dio nel mondo. Un semplice strumento. “Piccolo” era l’unico titolo onorifico che si attribuiva. Consapevole fino all’ultimo che i segni posti – tali sono le opere, solo segni – devono rimanere tali, rimando del Regno, giammai assolutizzati o, peggio ancora, assoggettati ad altri ‘regni umani’ o manipolati da altre logiche.
Custodiamo – Carissime, Carissimi – la memoria di Biagio, il suo messaggio e la sua eredità. Custodiamo la sua testimonianza che da sempre ha fatto profumo di santità, «profumo soave per il Signore» (Lv 2,9), e che deve effondere ancora tutta la sua dolce e penetrante fragranza per tanti altre e altri nella Chiesa e nel mondo.
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