Nell’èra dell’imperialismo trumpiano, il sovranismo è morto

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Nei discorsi di Giorgia Meloni non ve ne è più traccia. Su questa impossibilità si innesta il progetto di Donald Trump. Un piano che non è isolazionista, come vuole la vulgata superficiale, ma semmai imperialista

Il sovranismo ha vinto, il sovranismo è finito. Sparito dai radar. Non ve ne è più traccia nei discorsi di Giorgia Meloni, nei programmi di governo, nei convegni della destra. Il sovranismo è scomparso per una serie di motivi.

Il primo è quello economico. Se si vuole governare nell’eurozona si deve mettere da parte l’idea di una sovranità integrale. È un principio di ragion di stato. Senza un buon bilancio, senza sostegno dei mercati, senza seguire le regole europee si va a sbattere. Meloni lo ha capito meglio di altri e oggi ne raccoglie il premio della stabilità. Lo ha compreso meglio, ad esempio, del primo ministro laburista Keir Starmer che, pur fuori dall’Ue, fronteggia la sfiducia dei mercati verso i piani economici del suo governo.

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Ma il sovranismo è finito anche sull’immigrazione, dal blocco navale si è passati agli accordi con i paesi di partenza, poi al programma comune con gli altri stati europei e infine alla esternalizzazione dell’accoglienza in Albania.

Terzo, non si può essere sovranisti se non si è una grande potenza mondiale. E in Europa non c’è più alcuna grande potenza. Dunque non si è sovrani dal punto di vista militare, dove ci si ripara dietro l’ombrello della Nato e non si è in grado di aumentare la spesa militare sul Pil.

Non si può fare sovranismo senza tecnologia che oggi è uno degli assi portanti della sicurezza ed ecco così che la rete unica, pur con tutte le accortezze legali, finisce a fondi di investimento americani e le comunicazioni satellitari probabilmente andranno a Starlink di Elon Musk. Vale per Meloni, ma vale anche per il gran proclama di Macron sull’autonomia strategica europea che si è rivelato nulla più di un bell’artificio retorico.

Imperialismo trumpiano 

Sull’impossibilità del sovranismo politico, sull’arretratezza industriale e tecnologica, sul nanismo militare s’innesta il progetto trumpiano. Un piano che non è isolazionista, come vuole la vulgata superficiale, ma semmai imperialista. L’Europa è il ventre molle dell’alleanza atlantica per gli americani, se da un lato va infatti incentivata a spendere in armamenti dall’altro è necessario per Washington controllare i nodi strategici delle infrastrutture e delle tecnologie che in assenza di forniture europee potrebbe finire ai cinesi. La catena dell’Impero si sta accorciando per avere maggior presa in uno scenario internazionale in peggioramento.

Elon Musk non è dunque soltanto l’ispiratore della destra internazionale, una definizione iperbolica di cui la sinistra si è convinta, ma per l’amministrazione Trump vuole essere, per usare una analogia storica, una nuova Compagnia delle Indie Orientali, una società privata di mercanti che ha permesso all’Impero britannico di controllare i suoi possedimenti e sbarrare il passo agli avversari per quasi due secoli.

L’alleanza con le destre europee

Di qui il fiancheggiamento delle forze di destra radicale europee e l’interesse nei contratti governativi da parte del tycoon e di un pezzo dell’establishment. Allargare il mercato delle aziende tech americane e far di esse attori strategici per Washington in Europa. Un’altra faccia dell’America first che integra il protezionismo. Se così è il sovranismo europeo è destinato al tramonto, almeno nella formula in cui è nato.

Non è un caso che Alice Weidel, leader di AfD, abbia utilizzato una conversazione con Musk, organizzata dal patron di X, sia per legittimarsi a livello globale sia per liquidare le accuse di nazismo e accreditarsi come movimento conservatore-libertario. Due termini questi che piacciono a Musk, ma che servono a smarcarsi dall’armamentario concettuale del nazionalismo e del sovranismo dal quale Afd ha pescato sino ad oggi.

Strategia Meloni per Weidel dunque, che oggi è ancora frenata dalla conventio ad excludendum delle altre forze politiche ma nel futuro chissà. D’altronde Meloni, Wilders, Le Pen, l’FPÖ austriaco erano tutti considerati impresentabili fino a cinque anni fa e oggi o sono al governo del proprio paese o potrebbero andarci presto senza oramai sorprendere nessuno.

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La scomparsa del sovranismo, pur se avvenuta secondo un cinico disegno, non è una cattiva notizia perché molti partiti radicali hanno dismesso i propositi più sovversivi. Tuttavia, per chi si oppone alla destra non è una buona notizia, in quanto l’evanescenza del sovranismo è la via rapida, insieme allo scenario internazionale favorevole, attraverso cui quest’ultima può giungere al potere dove non è ancora arrivata.

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