Le mani del Mef sulla giustizia tributaria

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Perché la riforma ordinamentale è esiziale per i contribuenti (e incostituzionale)

Abbiamo già parlato, su queste pagine, della (contro)riforma ordinamentale della giustizia tributaria, presentata in fretta e furia ‒ per poter accedere ai fondi del Pnrr ‒ dal Governo Draghi (già dimissionario), varata con la Legge 130/22 da un Parlamento già sciolto in un giorno di fine agosto.

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A poco più di due anni dalla sua entrata in vigore, questa legge ha creato forti contrasti, per la chiara discriminazione operata all’interno del ruolo unico dei giudici tributari, in favore della categoria dei magistrati, cui è stata concessa la facoltà di transito alla nuova magistratura a tempo pieno, a differenza delle altre categorie componenti di pari grado della giurisdizione tributaria (cosiddetti laici: funzionari dello Stato e professionisti). Evidentemente, la manina invisibile di qualche togato consulente ha dato un “aiutino” ai funzionari del Mef a scrivere il provvedimento, e il Mef l’ha ringraziata riservandole il controllo anche di questa giurisdizione.

Ma si sa, il diavolo fa solo le pentole, e la nuova disciplina è partita con un flop: 22 transitati sui 100 previsti, e l’effetto dirompente di dividere tutti su tutto. Magistrati contro altre categorie di giudici tributari, giovani contro anziani, magistrati in attività contro pensionati: una bagarre di cui certo non si sentiva il bisogno, nata perché non si è voluto permettere la facoltà di transito al full-time per tutti gli attuali giudici tributari, soluzione che sarebbe stata ovvia e ispirata ai precedenti del dopoguerra per la magistratura ordinaria (vedi i cosiddetti togliattini) e degli anni Settanta per la magistratura amministrativa (vedi l’istituzione dei Tribunali amministrativi regionali).

In altri termini, se la logica fosse stata davvero quella di salvaguardare la qualità della nuova magistratura, sarebbe bastato prevedere la facoltà di transito per qualsiasi membro del ruolo unico in possesso dei requisiti di accesso ai nuovi concorsi. Si sono invece preferite logiche poco chiare e corporative, e così sono nate diverse azioni giudiziali contro il Mef e denunce alla Commissione Ue, che probabilmente avvierà una procedura d’infrazione contro l’Italia per il mancato rispetto della normativa unionale sul divieto di discriminazione in ambito lavorativo (sia per status che per il trattamento economico) tra giudici e magistrati tributari, che svolgono esattamente la stessa funzione, con analoghi oneri, differenziandosi solo per part-time e full-time.

In realtà la logica dell’intervento non è neppure così oscura, perché la nuova disciplina è tutta a senso unico, a vantaggio del Mef, che, una volta liberatosi dei fastidiosi giudici tributari (troppo indipendenti nelle loro decisioni) controllerà saldamente la giustizia tributaria. Con buona pace della terzietà del giudice.

In base alle nuove regole, infatti, si diventerà magistrati tributari tramite concorso di primo livello (basterà essere laureati in giurisprudenza o in economia, senza esperienze lavorative specifiche), gestito dal Mef. I vincitori saranno nominati con decreto dello stesso ministro, e non più con decreto del Presidente della Repubblica, come avviene per tutti i giudici (compresi quelli tributari); il Consiglio di Presidenza della giustizia tributaria (Cpgt), teoricamente organo di autodisciplina della nuova magistratura, resterà inevitabilmente in funzione ancillare, perché palesemente condizionato dallo stesso Mef (che, tra l’altro, fissa i compensi spettanti ai suoi membri).

Non è stata infatti accolta (e direi colta, nella sua importanza) dal legislatore la richiesta di spostare l’amministrazione della giustizia tributaria sotto la presidenza del Consiglio dei ministri, come è stato fatto per le altre giurisdizioni speciali (amministrativa e contabile), anziché sotto l’amministrazione che, di regola, è una delle parti del giudizio tributario (checché se ne dica, le Agenzie fiscali sono una foglia di fico del Mef).

Di sicuro, per i contribuenti – e in particolare per le imprese ‒ le prospettive non sono rosee: i nuovi magistrati non avranno infatti l’esperienza professionale necessaria per decidere cause complesse come gli attuali giudici tributari, ora relegati nella riserva indiana del ruolo unico ad estinzione (peraltro anticipata di 5 anni), e saranno molto più sensibili all’influenza del Mef loro datore di lavoro e formatore, anche tramite le direttive di un Cpgt economicamente condizionato. È quindi facilmente prevedibile che in futuro il fisco vincerà i ricorsi a mani basse; ma non pare che le forze politiche tradizionalmente più sensibili alle ragioni dei contribuenti si siano rese ben conto del valore della posta in gioco; che, tra l’altro, comprende anche la sfiducia degli investitori esteri verso un Paese in cui il fisco giocatore pretende di fare l’arbitro.

Resta da vedere come tale “normalizzazione” possa dirsi compatibile con la Costituzione e con la normativa europea. Lo dirà l’esito dei giudizi già intrapresi contro il nuovo assetto, che puntano inevitabilmente ad una pronuncia chiara in argomento della Corte di Giustizia dell’Ue.

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Aggiornato il 13 gennaio 2025 alle ore 12:03



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