Anche di fronte ai vasti incendi di Los Angeles – ancora in corso -, come in altre circostanze recenti, l’attenzione della stampa si incentra perlopiù sulle cause più immediate e “prossime”: il malfunzionamento della rete elettrica, la scarsa riserva idrica, l’impreparazione dei pompieri neo-assunti eccetera. Spesso queste spiegazioni sono pretestuose (come la protezione del pesce sperlano, a rischio di estinzione, che avrebbe portato a un insufficiente rifornimento idrico dalla baia di Los Angeles), ma soprattutto denotano la propensione a non voler vedere e discutere le cause sovrastanti e di lungo periodo, in sostanza il cambiamento climatico. Come se il fatto che il cambiamento climatico è causato principalmente dall’utilizzo dei combustibili fossili e dallo sfruttamento della terra non si possa più nominare nell’era del neo-liberismo dilagante. Se non si comprende la catena causale, i fenomeni “estremi” sono inesorabilmente destinati ad aumentare in intensità e frequenza, e cerchiamo di spiegare perché.
L’aumento della temperatura, che cresce di anno in anno, si associa ad altre perturbazioni atmosferiche che nel loro insieme costituiscono il cambiamento climatico. È importante insistere sul fatto che non si tratta solo dell’aumento della temperatura, ma anche del cambiamento del ciclo dell’acqua (e quindi sia pioggia sia siccità), del modificarsi dei venti eccetera. Questi fenomeni globali sono a monte dei singoli episodi (Valencia, Los Angeles); su di essi si inseriscono di volta in volta le concause locali, come l’eccessiva cementificazione, il disboscamento, la rete elettrica, la risposta insufficiente di contenimento… È pretestuoso incentrarsi solo sulle concause locali: in quali aree del mondo non esiste almeno uno di questi fattori che le rende vulnerabili? Incendi e alluvioni possono verificarsi pressoché ovunque, se si considera che elementi di debolezza tali da aumentare la vulnerabilità rispetto al cambiamento climatico sono diffusissimi. In questo senso si possono paragonare le cause locali di volta in volta invocate “ad hoc” (si pensi alle polemiche dopo l’alluvione a Valencia) alla pagliuzza citata nel Vangelo, dove la trave è il cambiamento climatico (per chi non abbia dimestichezza il riferimento è al Vangelo secondo Matteo, 7, vv. 1-5). Ma questa distinzione non sembra essere chiara a gran parte dei cronisti italiani (diverso il caso del Guardian, che dedica ogni giorno una rubrica al cambiamento climatico).
Per limitare il riscaldamento climatico futuro occorre ridurre le emissioni di gas serra, drasticamente e immediatamente. Abbiamo le tecnologie a disposizione: dobbiamo soltanto decidere di investire in progetti di decarbonizzazione che portino, anno dopo anno, a una riduzione delle emissioni di gas serra di almeno il 7% l’anno, così da raggiungere l’obiettivo di zero emissioni nette entro il 2050. Alle azioni di mitigazione (cioè di riduzione delle emissioni) dobbiamo affiancare azioni di adattamento, per rendere il territorio più resiliente e in grado di resistere all’impatto degli eventi estremi. La trave insomma non deve distogliere l’attenzione dalle pagliuzze, che spesso tali non sono. Bisogna agire anche sulle concause, che includono genericamente l’abuso del territorio; ma questi interventi sono inefficaci se non si affronta il problema globale a monte.
L’obiettivo di ridurre le emissioni di gas serra dovrebbe essere comune a tutte le forze politiche, dato che porta benefici diretti ed indiretti a tutti. Visto che l’Italia si trova in un’area particolarmente esposta al cambiamento climatico, è nel suo interesse raggiungere al più presto la decarbonizzazione. Stime dell’Intergovernmental Panel for Climate Change dicono che con investimenti di circa il 2% del Prodotto nazionale lordo (PNL) l’obiettivo di zero emissioni nette potrebbe essere raggiunto entro il 2050. Questo dovrebbe essere l’obiettivo comune di tutti, sia dei partiti di governo sia di quelli di opposizione. Rimandare la decarbonizzazione giova solo a poche lobby potenti che hanno tutto l’interesse a rimandarla per continuare ad utilizzare i combustibili fossili.
L’accelerazione del cambiamento climatico
La temperatura dell’atmosfera continua ad aumentare sempre più velocemente (0,28oC ogni decade tra il 2002 e il 2024, mentre era 0,11oC per decade tra il 1980 e il 2001), con grandi differenze territoriali: il riscaldamento medio dell’Europa è circa 2,5 volte quello del globo, quindi circa 3,75oC invece che 1.5oC. Il 2024 e il 2023 sono gli anni più caldi dal periodo pre-industriale, e probabilmente degli ultimi 125.000 anni. Il servizio dell’Unione europea Copernicus Climate Change Service (C3S) ha confermato venerdì 10 gennaio che la temperatura media globale alla superficie nel 2024 è risultata di 1,6oC più calda del periodo pre-industriale. Il 2023 era stato di 1,48oC più caldo.
Il continuo riscaldamento porta un aumento della frequenza e dell’intensità degli eventi estremi, che causano sempre più danni a popolazioni ed ecosistemi. Per ogni evento estremo, World Weather Attribution (WWA), una rete di ricercatori di diversi istituti stabilita nel 2014 per investigare legami causali tra clima ed eventi catastrofici, è in grado di calcolare l’impatto del cambiamento climatico sull’intensità e frequenza degli eventi. Per esempio, WWA ha calcolato che nell’uragano Helene negli USA le precipitazioni osservate avevano una probabilità di verificarsi aumentata del 70% e i venti del 150% come conseguenza del cambiamento climatico. Per l’alluvione di Valencia del settembre 2024, WWA ha concluso che a causa del cambiamento climatico quel tipo di eventi sono del 12% più intensi e hanno una probabilità doppia di accadere. Mentre per l’alluvione dell’Emilia Romagna del maggio 2023, WWA ha concluso che il cambiamento climatico non ha portato un aumento nella frequenza e intensità di quel tipo di eventi in quella regione.
Gli effetti del cambiamento climatico sulla salute umana sono molteplici. Limitandosi a quelli immediati, l’uragano Helene ha provocato almeno 130 morti negli Stati Uniti, l’inondazione di Valencia almeno 205, e l’ondata di calore del 2023 ha causato la morte di 47.000 persone in Europa (morti in eccesso rispetto all’atteso). Questi sono solo alcuni esempi limitati ai paesi ricchi, cui si devono sommare gli effetti indiretti, come il maggiore rischio di malattie infettive e i danni all’agricoltura e alla produzione di cibo.
La riduzione delle emissioni di gas serra porta co-benefici che vanno oltre la limitazione del riscaldamento globale futuro. Per esempio, una riduzione dell’utilizzo dei motori a combustione comporta anche una riduzione dell’inquinamento e quindi un impatto positivo sulla salute. Per Paesi come l’Italia, una riduzione dell’utilizzo dei combustibili fossili (carbone, olio combustibile e metano) porterebbe inoltre a una maggiore indipendenza economica e a una riduzione dei costi di produzioni dell’elettricità (come la Spagna sta dimostrando in questi ultimi anni).
I costi umani, sociali ed economici dei fenomeni estremi sono molto elevati, e sul medio-lungo periodo supereranno i costi della mitigazione, cioè della riduzione delle emissioni di gas serra. Nei soli Stati Uniti, il numero di disastri con un costo superiore a 1 miliardo di dollari ciascuno è passato da sei nel 2002 a 18 nel 2022 e 28 nel 2023. La BBC riporta che i danni dovuti agli incendi dei primi giorni di gennaio 2025 nell’area di Los Angeles si aggirano intorno ai 135 miliardi di dollari.
Non c’è un livello di riscaldamento globale accettabile: più il sistema Terra si riscalda, maggiori diventano l’intensità e la frequenza di eventi estremi. Per il territorio Italia, questo ha enormi implicazioni sul territorio, per esempio sull’accesso all’acqua, risorsa necessaria per le popolazioni, gli ecosistemi, i processi industriali e l’agricoltura. Un maggiore riscaldamento causa inoltre un aumento delle migrazioni da regioni che diventano sempre più inospitali, come il centro e nord Africa, con conseguenti implicazioni dirette sulla stabilità di quelle regioni, e sull’immigrazione.
Sottolineiamo la necessità di una riduzione drastica e immediata delle emissioni di gas serra per evitare che, a causa della continua accelerazione del riscaldamento globale, alcune componenti del sistema Terra possano effettuare delle transizioni quasi-irreversibili. Per esempio, i ghiacci dell’Artico potrebbero sciogliersi completamente, modificando la circolazione oceanica del Nord Atlantico e riducendo l’albedo della Terra e quindi portando a un’ulteriore accelerazione del riscaldamento globale. Oppure la foresta dell’Amazzonia, a causa dell’aumento della temperatura e di prolungati periodi di siccità, potrebbe trasformarsi da un pozzo (che assorbe CO2) a una sorgente di CO2, portando a un maggiore accumulo del gas in atmosfera e quindi ad un’accelerazione del riscaldamento. Sarebbe pertanto completamente errato rimandare le azioni di mitigazione per qualche decina di anni (per esempio, in attesa di soluzioni tecnologiche a oggi non provate, o troppo costose, per la produzione di elettricità). Occorre decarbonizzare ora, il più velocemente possibile, per limitare il riscaldamento climatico: obiettivo che può essere raggiunto con le tecnologie che abbiamo e che funzionano da anni (per esempio, nella produzione di energia, con impianti solari, eolici e idroelettrici).
Il problema tocca tutte le generazioni, ma soprattutto i più giovani e le future generazioni, creando una grave diseguaglianza inter-generazionale. Per ogni incremento del riscaldamento globale, cambiamenti regionali del clima, anche radicali, diventano più diffusi e pronunciati. È un’eredità che lasciamo alle future generazioni.
Quindi va data priorità a processi che portino a una riduzione immediata e drastica delle emissioni di gas serra: alla mitigazione. È un dovere dell’Italia ridurre le emissioni di gas serra, dato che è uno dei Paesi del mondo che più di molti altri ha contributo all’accumulo di gas serra in atmosfera. Ricordiamo che il cambiamento climatico che viviamo oggi è causato dall’accumulo delle emissioni di gas serra a partire dal periodo pre-industriale, dato che ogni molecola di CO2 rimane in atmosfera per centinaia di anni. Se si analizza il contributo di diversi Paesi/regioni del mondo all’accumulo delle emissioni di gas serra dal periodo pre-industriale a oggi, si trova che gli Stati Uniti d’America e l’Europa sono i principali contribuenti (tra il 1751 e il 2017, US ed Europa hanno emesso il 25% ed il 22% delle emissioni accumulate). E l’Italia, come Paese europeo, ha anch’essa contribuito con una quantità di emissioni accumulate in linea con la sua percentuale di popolazione.
Le linee strategiche della mitigazione sono state già largamente suggerite da diverse istituzioni o panel internazionali come IPCC, International Energy Agency e Commissione europea con il Green Deal. Un provvedimento quadro di grande portata è anche l’Inflation Reduction Act dell’amministrazione Biden. Queste proposte tendono a convergere verso diverse azioni coordinate, in particolare una transizione dai combustibili fossili alle energie rinnovabili, e interventi volti a bloccare la deforestazione e a limitare gli impatti dell’agricoltura e degli allevamenti sulle emissioni.
L’Unione europea ha come obiettivo (‘Fit-for-55’) per il 2030 la riduzione delle emissioni del 55% rispetto a quelle del 1990. L’Italia, per raggiungere questo obiettivo, nei prossimi anni deve aumentare di almeno un fattore 5 la riduzione annuale delle emissioni di gas serra, che negli ultimi 10 anni sono state di circa l’1,7% l’anno.
Vanno tuttavia considerati quelli che sono attualmente gli ostacoli a una mitigazione globale: l’esportazione delle emissioni, i mancati aiuti alle economie che dipendono dai combustibili fossili e la debolezza degli accordi internazionali. Le restrizioni alle emissioni comportano costi aggiuntivi ai prodotti locali che privilegiano l’importazione da paesi meno virtuosi, con un danno all’economia e l’inefficacia complessiva nel ridurre le emissioni (che sono di fatto esportate). Per l’Italia, per esempio, le emissioni di CO2 nel 2022 legate ad attività sul territorio italiano sono state circa 340 Mt (mega-tonnellate), mentre le emissioni corrette tenendo conto dell’importazione/esportazione di beni sono state di circa 440 Mt, quindi circa il 30% maggiori. È pertanto importante realizzare da subito un carbon border adjustment mechanism per arrivare a calcoli più corretti del contributo di ogni singolo Paese.
Gli ostacoli alle decisioni politiche
Le difficoltà delle decisioni politiche originano innanzitutto da un certo grado di incertezza su quali sono le soluzioni prioritarie e costo-efficaci. In questo senso sono molto interessanti i bandi del Wellcome Trust e di ESRC nel Regno Unito, che mirano a produrre rassegne sistematiche della letteratura scientifica sulle soluzioni di mitigazione, anche tenendo conto dei co-benefici e dei costi.
Per l’Italia, è indubbio che una riduzione drastica e immediata delle emissioni di gas serra possa portare benefici, dato che si trova in una regione più esposta di molte altre al cambiamento climatico. Raggiungere entro il 2030 l’obiettivo dell’Unione Europea ‘Fit-for-55’ ed entro il 2050 l’obiettivo di zero emissioni nette comporta maggiori benefici che costi, co-benefici per i cittadini e gli ecosistemi, una minore dipendenza energetica da Paesi produttori di combustibili fossili, una riduzione dei costi di produzione dell’energia. Per questi motivi dovrebbe essere nell’interesse di tutte le forze politiche decarbonizzare molto velocemente, farsi promotori delle politiche di decarbonizzazione dell’Unione europea, e convincere tutti i Paesi del mondo che è nell’interesse comune raggiungere l’obiettivo di zero emissioni nette entro il 2050. Agire al contrario, rimandando la riduzione delle emissioni e perpetuando la dipendenza dai combustibili fossili, è miope e danneggia il Paese.
L’esigenza della mitigazione sottolinea la necessità di interventi globali. Ci pare tuttavia che al momento la discussione pubblica sulla mitigazione ristagni ed è difficile intravedere una strategia condivisa. Deve essere stimolata anche in Italia un’analisi degli ostacoli e delle opportunità. Citiamo alcune delle difficoltà:
- la mancanza di un consenso sufficientemente diffuso, come testimoniano le proteste dei contadini in diversi paesi europei, è un ostacolo alle scelte politiche. La mancanza di consenso si esercita in alcuni casi per difficoltà economico-produttive oggettive e in molti casi per considerazioni settoriali o ideologiche. Spesso si dà troppo spazio a lobby potenti che hanno un chiaro interesse a rimandare la decarbonizzazione, anche se questo va contro gli interessi della maggioranza dei cittadini del Paese;
- si pone la necessità di un’evoluzione culturale che porti i cittadini a essere cittadini del mondo responsabili per i cambiamenti globali che caratterizzano l’era moderna. Solo l’evoluzione culturale può fornire l’adeguata pressione politica e cambiare le scelte dei governi;
- i dissidenti per difficoltà oggettive (categorie produttive penalizzate dalla transizione) devono essere sorretti economicamente e i dissidenti per ragioni ideologiche devono essere convinti dalla pressione sociale e da norme.
Le azioni dei singoli
Le misure essenziali sono quelle indicate dalla IEA, dal Green Deal, eccetera citate sopra, e implicano un’azione politica coordinata. Le azioni dei singoli contano se c’è un generale clima di impegno e obiettivi condivisi, a partire dai governi. Senza investimenti che rendano possibili scelte a zero-emissioni di gas serra, i singoli cittadini possono fare molto poco.
Per esempio, consideriamo il trasporto. Così come nell’inizio dell’era dell’automobile a combustione gli stati hanno investito in infrastrutture che hanno reso possibile il loro utilizzo, oggi è necessario un investimento sostanziale per rendere la mobilità elettrica attuabile e per spostare la scelta dei singoli verso il trasporto pubblico. Senza investimenti che rendono il trasporto ferroviario efficiente anche sulle linee regionali, è difficile pensare che i singoli cittadini possano privilegiarlo rispetto all’automobile individuale. E senza un grosso investimento in sistemi di ricarica, è difficile pensare che i singoli decidano di sostituire l’automobile con motore a combustione con quella elettrica. Senza investimenti in energia alternativa (solare, eolico, idroelettrico) che riducano i costi dell’energia e permettano di ridurre le emissioni di gas serra legate alla produzione di elettricità è difficile raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione. Nonostante alcuni progressi (riduzione dell’8% delle emissioni europee nel 2023), al livello globale siamo indietro rispetto agli obiettivi di Parigi di zero emissioni nette entro il 2050.
Questi sono alcuni dei comportamenti individuali che posso contribuire sostanzialmente a mitigare il cambiamento del clima:
- ridurre i consumi di carne;
- usare meno l’auto e di più i trasporti pubblici e (se possibile) andare a piedi e in bicicletta, e ridurre i voli aerei;
- promuovere il riciclo;
- ridurre i consumi superflui e la produzione di scarti e rifiuti;
- rispettare gli spazi verdi e proteggerli;
- investire i soldi in azioni orientate in senso ecologico (es. ESG);
- ridurre l’uso di energia elettrica.
Le modifiche dei comportamenti individuali hanno senso in un contesto di impegno politico attivo, che comporta innanzitutto l’eliminazione drastica e immediata dei combustibili fossili e la transizione alle energie rinnovabili. Ci aspettiamo dai governi il rispetto e l’applicazione del Green Deal europeo, e il raggiungimento dell’obiettivo dell’Unione europea ‘Fit-for-55’ entro il 2030 come primo passo verso zero emissioni nette. In un clima politico positivo, di transizione ecologica e riconversione industriale e agricola, ci aspettiamo che anche i comportamenti individuali verranno incoraggiati e promossi. Al contrario, politiche di supporto dell’utilizzo dei combustibili fossili (per esempio, l’Agenzia europea per l’ambiente, EEA, riporta che nel 2022 i sussidi a supporto dell’utilizzo dei combustibili fossili sono stati di 25 miliardi in Europa), o di ritardo delle misure che portino al raggiungimento dell’obiettivo di zero emissioni nette entro il 2050, non fanno che suggerire ai singoli cittadini che il problema non è così urgente.
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