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13 Gen Sovraffollamento e suicidi: il lato oscuro delle carceri italiane
Non è un caso che la seconda Porta Santa del Giubileo 2025 sia stata aperta nel carcere di Rebibbia, a Roma. Dopo quella di San Pietro «la seconda Porta è vostra, è un bel gesto quello di aprire le porte che significa cuori aperti. Questo fa la fratellanza. I cuori chiusi non aiutano a vivere. La grazia di un Giubileo è spalancare, aprire. Soprattutto i cuori alla speranza». Con queste parole, pronunciate durante la Santa Messa a Rebibbia, Papa Francesco ha voluto mandare un messaggio deciso affinché anche chi sconta la propria pena in carcere non perda mai la speranza. Al contempo la scelta di aprire una Porta Santa proprio in un luogo di detenzione nasce anche dalla volontà di puntare i riflettori su una condizione sociale, quella dei detenuti, che in Italia segnala dati preoccupanti.
Quella del sovraffollamento delle carceri e dell’inadeguatezza delle strutture è, infatti, un problema costante da anni, ma recentemente la situazione sta divenendo più difficile se non addirittura drammatica. Secondo i dati del rapporto redatto dal Garante per i detenuti, al 25 novembre 2024 ci sono in totale 62.410 detenuti, su una capienza di 51.165 ma 46.771 posti effettivi. Questo vuol dire che l’indice nazionale di sovraffollamento è al 133,44%. Oltre 100 istituti di detenzione presentano un indice di affollamento superiore al consentito. I tassi di affollamento più alti a livello regionale si registrano in Puglia (152,1%), in Lombardia (143,9%) e in Veneto (134,4%). Ma questa difficile gestione degli istituti penitenziari si sta diffondendo ovunque sul territorio nazionale, specialmente nelle maggiori aree metropolitane, con una crescita media del +7,7%.
I numeri del 2024 sono non solo preoccupanti ma a tratti anche drammatici. Non erano registrati così tanti detenuti in Italia da quando la Corte europea dei diritti umani, nel 2013, condannò il nostro Paese per trattamenti inumani e degradanti causati dal sovraffollamento degli istituti di pena (Caso Torreggiani). Le carceri sovraffollate, però, non sono solo una condizione che influisce sui diritti delle persone recluse. È sintomo di un sistema decadente che ormai non funziona più, che va riformato il prima possibile perché le conseguenze di questa indifferenza posso causare danni ben peggiori all’intera società, non solo al sistema giudiziario e penitenziario.
Un istituto di detenzione con più persone di quanto previsto e, inoltre, con meno operatori di quelli necessari è una bomba a orologeria. Significa che lo spazio vitale minimo non è garantito, che ogni singola azione o attività risulta complicata e compressa. Diminuiscono le ore d’aria o la possibilità di accedere a cure mediche e psicologiche. Viene meno quindi la capacità di garantire un trattamento detentivo eticamente conforme ai diritti umani: la mancanza di spazio, la soppressione o diminuzione delle attività e le condizioni di vita degradanti sono tutti fattori che contribuiscono significativamente all’alterazione della salute mentale e fisica dei detenuti e degli operatori carcerari, portando così all’aumento dei casi di autolesionismo e suicidio.
Secondo il rapporto del Garante nazionale per i detenuti, nel 2024 in Italia ci sono stati 77 suicidi (+16 rispetto al 2023). I sindacati, inoltre, forniscono dati ancora più drammatici: Uilpa – polizia penitenziaria ha registrato fino a novembre 2024 83 suicidi tra i detenuti e 7 tra appartenenti alla polizia penitenziaria, con una fascia d’età media delle vittime di 40 anni. A questi numeri si aggiungono poi gli atti di aggressione e di autolesionismo, i tentati suicidi (oltre 500), le manifestazioni di protesta collettiva e individuale che peggiorano il quadro complessivo.
La detenzione è la conseguenza di un reato, ma ciò non vuol dire che una volta varcata la soglia del carcere il diritto della persona svanisce nel nulla. La detenzione non è una punizione ma – teoricamente – viene intesa anche come riabilitazione sociale e per questo non può avvenire in un clima dannoso. La soluzione quindi non può essere solo la costruzione di nuove prigioni: la nostra società deve fare molto di più di questo, per dare una speranza a cui aggrapparsi – come sentenziato da Papa Francesco – e una seconda possibilità a chi ha smarrito la via.
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