Dalla Polonia alla Cina, da Tusk a Prodi

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Sassolini di Lehner

Per gli 80 anni dalla liberazione del lager di Auschwitz, Benjamin Netanyahu potrà recarsi in Polonia, il 27 gennaio prossimo, nonostante il mandato di cattura spiccato dalla maomettana Corte penale internazionale. L’apertura, giusta e dovuta, si deve al presidente Andrzej Duda, che l’ha imposta a Donald Tusk, l’utile idiota politico dell’idiota politico Olaf Scholz. Ovviamente l’Unione europea manettara promette sanzioni alla Polonia, se non incatenerà il leader israeliano. La stessa Ue, però, chiude tutte e due gli occhi sulla deriva intollerante di Tusk, che minaccia di chiusura chi lo critica, vedi la tivù privata Republika, e costringe un viceministro, ingiustamente perseguitato da toghe tuskiane postcomuniste, a chiedere asilo politico, peraltro subito concesso da Viktor Orbán, all’Ungheria. Alle eurotestoline bisognerebbe, inoltre, spiegare che a liberare il lager furono i soldati dell’Armata rossa, ergo, sarebbe giusto permettere anche a Vladimir Putin di partecipare e celebrare l’anniversario, senza essere arrestato. Non è una battuta, ma un normale e ragionevole omaggio alle verità della Historia di contro all’eurottusità e ai tribunali del Profeta.

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Oliviero Toscani mi è simpatico come l’ortica strofinata in lungo e in largo sui testicoli. Tuttavia, ora che si è spento, colpito dalla devastante amiloidosi, non posso non inviargli un forte e caloroso abbraccio. All’appuntamento con il limitar di Dite nessuno di noi può mancare. Vivendo e fonetizzando, talora a matula, cioè alla Oliviero, ci possiamo dividere fino alla rissa cruenta, ma la morte, silenziandoci, affratella e unisce.

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In quanto a cattocomunisti non ci facciamo mancare niente. Un marx-castrista occupa il soglio di Pietro, mentre la Conferenza episcopale italiana capitanata dal cardinale Matteo Maria Zuppi, forse prossimo pontefice, scavalca a sinistra lo stesso Jorge Mario Bergoglio. Il papa sudamericano sbottò, a sorpresa, colto da eresia deviazionista, sulla “troppa frociaggine” tra gli aspiranti sacerdoti. Ora, però, contro cotanto deviazionismo alla Nikolaj Bucharin, la Cei di Zuppi è tornata all’ortodossia rivoluzionaria fondata sul libero amore e sul Vangelo trasgressivo di Aleksandra Michajlovna Kollontaj: la “troppa frociaggine” deve rimanere nei seminari, con alcune limitazioni, tipo no a matrimoni arcobaleno di fatto e amorazzi scandalosamente praticati. Restando nel girone cattocomunista, Romano Prodi ancora predica male e razzola peggio. Quando gli venne chiesto: “Qualcuno può aver ispirato gli spiriti?”, gli mancò il fiato per rispondere. L’impudente, che cercò di svendere a Carlo De Benedetti il comparto agroalimentare dell’Iri, lo spudorato, unico al mondo, che si schierò dalla parte di Valentin Pavlov, il capo dei golpisti neobolscevichi dell’agosto 1991, insomma, Prodi Romano non pronunciò fonemi capaci di dare un senso “all’apparizione” miracolosa di Gradoli. Prima di essere eliminato con l’isotopo radioattivo polonio-210 una risposta la diede Aleksandr Litvinenko, novembre 2005, accostando Prodi al Kgb. Chiunque avesse una minima conoscenza dell’Urss non la prese come notizia sconvolgente: essere in affari con i sovietici comportò necessariamente essere approvati e sponsorizzati dalla Lubjanka. L’ultima parola su aziende e istituti stranieri, da catalogare come “amici” e, magari, “complici”, spettava al giudizio degli 007. E Prodi fu un “amico” o “complice” assai privilegiato, visto che la sede della “sua” Nomisma fu collocata ben al calduccio, all’interno di un ente ministeriale sovietico. La notizia purtroppo sottaciuta fu, semmai, che Litvinenko, intenzionato a chiedere asilo politico in Italia, si rivolse, infine, al Regno Unito, avendo appreso che il Belpaese era pericolosissimo, essendo largamente infiltrato dalla rete spionistica russa. Il vero scoop, dunque, non giunse dal povero Aleksandr, bensì dall’ex colonnello del Kgb Oleg Gordievskij, il quale spiegò che il suggerimento spiritistico su Via Gradoli poteva benissimo essere arrivato a Prodi attraverso il servizio segreto sovietico, data la contiguità della Lubjanka con le organizzazioni paramilitari dei partiti comunisti occidentali, col terrorismo islamico e con le Brigate rosse. Tuttora, Romano Prodi, come l’erba cattiva che non muore mai, resistendo pure alla siccità della sinistra, lavora, trama, organizza, esterna, sostenendo a spada tratta il turbo-capitalismo rosso e poliziesco di Xi Jinping. Grazie a Prodi, la Cina dei Laogai torna a essere vicina, addirittura di più rispetto alla stagione di Rossana Rossanda e delle toghe rosse maoiste.

In aggiunta, non tralascia di impegnarsi giorno e notte per defenestrare l’Esecutivo di centrodestra.

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Negli studi di Cinecittà voluta e creata da Benito Mussolini, quindi dirottata verso Giuseppe detto il Baffone, mi accingo a portare sul palcoscemico il dramma Il marcio su Roma di Luca Marinelli.

Aggiornato il 13 gennaio 2025 alle ore 11:30

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